Dopo 35 anni dalla morte di p. Egidio Ferracin, comboniano originario di Marano ucciso in Uganda il 4 agosto del 1987, il ricordo è ancora molto forte. È forte tra i familiari sia quelli che lo hanno conosciuto sia quelli che, perché troppo giovani, lo hanno scoperto dai racconti. È forte nella comunità maranese e, ovviamente tra i confratelli.
Don Davide Zanoni, classe 1989, vicario parrocchiale dell’Up Arzignano centro, non era ancora nato quando lo zio fu ucciso, ma il suo ricordo è vivo. «Fin da bambino mi raccontavano di lui» evidenzia. La vicenda dello zio missionario non lo ha però condizionato nella scelta vocazionale, ma «lui è sempre sullo sfondo, sempre presente. Mi ha aiutato in più di qualche momento sapere che pure lui ha dovuto affrontare difficoltà per diventare prete e missionario». Di padre Egidio ricorda in particolare «la capacità di tenere in equilibrio la sua grande allegria e poi la grande profondità spirituale. Diciamo che aveva i piedi ben piantati per terra e lo sguardo rivolto verso il cielo». Una figura come quella di p. Ferracin oggi – secondo don Davide – ci invita «a non perdere la speranza. Lui si è trovato in situazioni complicate e ha sofferto vedendo molta violenza eppure è andato avanti con una grande fiducia nel Signore». «Lo zio – conclude – non ha fatto cose straordinarie, ha vissuto la quotidianità, con uno stile completamente suo che ha reso straordinario tutto il resto».
«Egidio viveva a pieno la sua vocazione, amava l’Uganda, i “moretti”, come li chiamavi lui» racconta Carlo Toniolo, uno dei nipoti che lo ha conosciuto . «Lo zio – prosegue – rientrava ogni 5 o 3 anni – e così noi suoi nipoti che eravamo piccoli lo abbiamo frequentato poco. Per fortuna rimangono i diari, le lettere e le testimonianze dei confratelli». Carlo Tonilo sottolinea la sua spiritualità. «Era certamente padre Cin Cin, padre Gioia, ma si caratterizzava anche per il suo raccogliersi in preghiera e in contemplazione». «P. Egidio scriveva – ricorda il nipote -: “Mi affido a Lui e sento che solo così posso continuare e rialzarmi; sorridere, o almeno sforzarmi di farlo, anche quando dentro bolle l’orgoglio ferito o brucio dal dolore”».
«La sua grande allegria portava luce ovunque andasse – aggiunge Paolo Campese l’altro nipote di p. Ferracin – Era una gioia però non di chi è spensierato, ma frutto di tanta preghiera». Un’altra caratteristica che Paolo ricorda è la generosità. «Era generoso in modo quasi da dimenticare se stesso. Quando tornava a casa era come arrivasse un hippy. Non aveva più i suoi vestiti che aveva regalato a qualcuno, così poteva avere pantaloni rossi con camice improbabili». E ricorda ancora «la fortezza d’animo di fronte agli abusi e alla violenza contro i deboli. Non sopportava la violenza contro i deboli e questo lo ha portato al martirio».P. Giuseppe Caramazza, comboniano, era redattore di Nigrizia quando p. Egidio fu ucciso. «Era una persona semplice e umile – ricorda – e che si era davvero dedicato alla popolazione». Mentre lui era in Uganda c’era grande violenza e mancanza di sicurezza. La sua caratteristica era «la vicinanza con la gente che lo conosceva e lo apprezzava. Parlava la lingua locale e si prestava a visitare le varie comunità nella zona». Dove è stato lo ricordano. «Dove è stato ucciso hanno costruito un piccolo sacrario dove la gente va a pregare. Nella parrocchia di Alenga, il giorno del suo martirio viene considerato un giorno importante in cui vengono battezzati i bambini».
«Sono circa una trentina i martiri comboniani e p. Egidio è uno di questi – conclude p. Giuseppe -. Sono la testimonianza che in qualche modo il nostro istituto fa il suo lavoro».
Anche a Marano il legame con p. Egidio rimane forte. Ci sono numerose persone che con spontaneità raccontano piccole cose riguardanti p. Ferracin. Quando lui tornava a casa, andava sempre a trovare qualcuno, in modo semplice e «girava per Marano in bici e veniva chiamato Padre Sorriso». «Se entrava in una casa e vedeva qualcosa che poteva servire alla sua missione chiedeva: “Se non ti serve puoi regalarmela?”». «Questo spiega l’affetto che c’è verso questo missionario – evidenzia Maria Teresa Sartore, bibliotecaria, impegnata nell’organizzazione dell’evento in ricordo di p. Egidio – di cui si fa memoria anche in una delle due lapidi che si incontrano arrivando in Chiesa».
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