Che cosa ha lasciato a Vicenza la visita del 1991 di papa Wojtyla? Qual è il suo riflesso sulla città e sulle persone che hanno vissuto quei giorni, a distanza di 30 anni? E sulle persone che quell’evento possono solo immaginarlo? Venerdì 3 settembre Servi di Maria e Diocesi hanno organizzato un incontro per cercare di rispondere a queste domande; una serata commemorativa nel Santuario di Monte Berico (inizio alle 20.30) per fare memoria e ripercorrere quelle 26 ore che Giovanni Paolo II dedicò al capoluogo a cavallo tra il 7 e l’8 settembre del 1991. Fu il suo 99esimo viaggio in Italia dopo 52 trasferte all’estero.
Alla serata partecipano mons. Lucio Mozzo, allora direttore de La Voce dei Berici, padre Antonio Maria Santini, all’epoca priore provinciale dei Servi di Maria, mons. Pierangelo Ruaro, direttore dell’Ufficio liturgico che musicò l’inno “Per accendere in cuore la speranza” cantato dai giovani allo stadio Menti. Sono presenti anche don Nico Dal Molin che scrisse le parole e Lucia Meggiolaro, docente, che all’epoca prese parte alla celebre coreografia del cuore fiorito al Menti. Intervengono il fotografo Gennaro Borracino, autore di molte della numerose immagini esposte dal 3 settembre al 3 ottobre nella Sala dei Sette Santi Fondatori (apertura ogni sabato, domenica e mercoledì 8 settembre con orario 8-12, 15.30-19, altri giorni su prenotazione) e la storica dell’arte e della fotografia Agata Keran che ha curato l’allestimento. Modera Nicoletta Martelletto de Il Giornale di Vicenza. Le testimonianze sono intervallate dalla musica del maestro Giuliano Fracasso e di mons. Ruaro.
«Si tratta di un omaggio a Wojtyla attraverso le voci di chi, in quei giorni del 1991 era presente e in qualche modo ha dato il suo contributo» spiega padre Attilio Carrella, responsabile della biblioteca di Monte Berico e tra gli organizzatori della serata (entrata libera fino ad esaurimento dei circa 320 posti).
«Di recente ho letto il libro di Carlo Cardia “Luci e ombre” su papa Giovanni Paolo II e sono convinto che la sua visita a Vicenza sia stata una pagina di luce molto importante per la Diocesi intera» commenta padre Antonio Maria Santini. Fu lui ad accogliere il Pontefice al Santuario mariano assieme al priore della comunità padre Mariano Merlo, oggi 95enne. «Entrando in Basilica Wojtyla non si fece il segno della croce e non si genuflettè, ma si diresse direttamente e velocemente verso il primo letto della fila di malati presenti nella parte sinistra della chiesa – racconta l’ex priore provinciale -. È come se si fosse inginocchiato davanti alla donna malata. Fu straordinario. Mise al centro la persona umana perchè l’eucarestia ci insegna questo. È un gesto che anche oggi, a distanza di tre decenni, ha una forza incredibile, dal quale abbiamo molto da imparare». Il Papa salutò i malati, uno ad uno, prima della Madonna, alla quale dedicò una preghiera di qualche minuto davanti al presbiterio e poi raggiunse la sua stanza. Il Papa polacco era così – continua padre Antonio -: concreto, istintivo, ma anche teatrale e un po’ lunatico».
I ricordi vanno alla cena del sabato sera, in comunità. «Durò 17 minuti – continua padre Antonio -. Il Papa era “stravaccato” sulla sedia». Si doveva fare in fretta perché c’era il rosario programmato nel piazzale della Vittoria in diretta nazionale. «Con il pollice unito alle quattro dita verso l’alto, fece il gesto muovendo i polsi e disse “Che cosa volete? L’avete finita di disturbarmi?” Io, che mi trovavo davanti a lui dissi: “Santità c’est la vie!”. Wojtyla sapeva essere ironico». Il 7 e 8 settembre del 1991 Vicenza gli dedicò un’accoglienza sobria, calorosa, senza esagerazioni e fanatismi. Fu un po’ «pellegrinaggio mariano e visita pastorale» come scrisse l’allora vescovo Pietro Nonis sulle pagine della Voce dei Berici di quei giorni.
Giovanni Paolo II portò a Vicenza anche la sua umiltà che fece conoscere al mondo il giorno della sua elezione con l’espressione “Se sbaglio mi corriggerete”: «La sera del sabato pernottò da noi – prosegue l’ex priore provinciale -. Gli mettemmo a disposizione una camera con bagno. Alcuni monsignori da Roma si lamentarono perché le stanze dovevano essere due: una per dormire, l’altra per lavorare. In più la capella doveva essere sullo stesso piano. Spiegai che da noi non era così, che questo era quello che potevamo offrire. “Andremo da un’altra parte” sentenziarono. In realtà il Papa fu felice della nostra ospitalità e la mattina fece colazione in camera esaltando la torta della signora Fedora che lavorava in cucina».
L’umiltà e la dedizione alle persone semplici e malate è nei ricordi anche del sindaco di allora, Achille Variati. Il 1991, per lui, fu un anno doppiamente importante: visita del Papa e adunata degli alpini. «Ricordo gli occhi di Wojtyla sui malati del San Bortolo che volle incontrare, ricordo la pazienza con cui accarezzava teste, spalle, uno ad uno, senza fretta come se il tempo dovesse fermarsi – racconta il politico -. La prima volta gli rivolsi la parola in piazza dei Signori. Era il saluto di tutta la città e avevo il cuore che mi batteva a mille, sentivo la responsabilità di dare voce ai credenti e non di Vicenza, terra di fede». E l’aneddoto si fa divertente: «Dovevo consegnargli un omaggio, mi dissero di fare in fretta e mi girai per prendere il dono nel momento esatto in cui lui stava per abbracciarmi – sorride Variati -. Diedi quindi le spalle al Papa! Dopo l’attimo di esitazione ci abbracciammo».
Ospite dei Servi di Maria, Giovanni Paolo II dopo la colazione incontrò tutti i frati (di Maria) delle comunità di Vicenza e Isola Vicentina. «Mi rivolsi a lui come “Amatissimo padre” perché volevo che cadessero certe barriere – spiega padre Antonio -. Sapevo della sua dedizione per la Vergine ed esaltai i grandi valori del nostro Ordine: ispirazione mariana e fraternità. Lui mi rispose a braccio, riprendendo più volte i due concetti». «Dopo 30 anni – conclude il religioso – mi porto dietro la grande disponibilità di un Padre della chiesa ad incontrare tutti, anche le persone più semplici. In 26 ore riuscì ad entrare nelle varie realtà della nostra diocesi e della nostra società portando sempre una parola di conforto. È stato sicuramente un personaggio di altissimo livello».
«Quando salì sul jet per tornare a Roma – conclude Achille Variati – sempre guardandomi fisso negli occhi mi disse: “Ciao sindaco”. Quel “Ciao sindaco” è ancora nel mio cuore».
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