Editoriali

La Santa Casa

Sul cancello ci accolgono piene di gioia tre sorelline dai lunghi riccioli corvini. Vengono dalla Tunisia. Sono arrivate su uno dei tanti barconi pochi mesi fa, insieme alla loro mamma. Avevamo paura di non riuscire a comunicare con questi piccoli venuti da lontano. Tutto invece è naturale e spontaneo. Sorrido nel vedere i nostri ragazzotti delle superiori lasciarsi prendere per mano da queste bambine coraggiose. Ci portano dentro, nel salone di quella che era una scuola tenuta da religiose e che oggi ospita invece un Centro di Accoglienza Straordinario. Brave le Suore Orsoline di Gesù che invece di vendere a qualche immobiliarista hanno deciso che la loro casa, anche in carenza di vocazioni, doveva continuare ad essere un luogo di carità. Altri bambini ci sono subito addosso, pieni di vita, fiduciosi nonostante tutto. Un bimbo di circa dieci anni all’inizio resta in disparte. Ha lo sguardo intelligente. La responsabile del centro mi racconta che è iracheno e che con il suo papà era riuscito a raggiungere la Svezia dove già avevano iniziato un percorso di integrazione, ma poi, a causa del Trattato di Dublino (sì, sempre quello e perfettamente funzionante a quanto pare) sono stati ritrasferiti in Italia, dove era avvenuto il loro primo ingresso in Europa, per la valutazione della loro domanda di protezione internazionale. Bambini che viaggiano come pacchi, prima affidandosi ai trafficanti di esseri umani e poi a causa dei burocrati di Bruxelles. In poco tempo siamo circondati da altri bambini e da qualcuno dei loro genitori. Oltre che dalla Tunisia e dall’Iraq, vengono dalla Siria, dal Benin, dal Senegal… Un ragazzino africano è particolarmente vivace. Nella sua ricerca di attenzioni, diventa manesco. Ma continua a ridere, con i suoi denti bianchissimi. Ha attraversato il deserto a piedi, prima di imbarcarsi in Libia. Forse ha 11 anni. Il pomeriggio passa veloce, tra canti, bans, la merenda, i balli di gruppo. Si uniscono a noi anche tre giovani scout abruzzesi. Camillo ha 17 anni e trasmette l’incrollabile certezza che si possa cambiare il mondo, iniziando magari col pulire bene un pavimento. Facciamo degli origami colorati. Un’animatrice dell’Azione Cattolica, una catechista e una giovane mamma con il capo velato li attaccano con cura su un cartellone, sino a formare l’immagine di una donna con un bimbo in braccio. Quando è ora di salutarci ci prende una grande malinconia. Un bambino chiede se proprio nel nostro pullman non ci sia un posto anche per lui. Più di qualcuno dei nostri ha gli occhi lucidi. Questa piccola storia di incontro e accoglienza si è svolta a Loreto, a pochi passi da quella Santa Casa in cui la fanciulla di Nazareth ricevette l’annuncio dell’Angelo e in cui Gesù, bambino e adolescente, crebbe in età e in grazia, sviluppando, Lui, Verbo Etero del Padre, tutta la sua umanità bella e perfetta, intrisa di mitezza, umiltà e misericordia. Dei tanti pellegrinaggi (almeno una decina) fatti a Loreto, questo è stato per me il più bello e il più vero. Perché il Verbo si è fatto carne. Ha preso la carne e il volto di quei bambini rifugiati. Perché se hai capito cos’è davvero il cristianesimo, dal Santuario devi passare alla Casa, alla vita di ogni giorno, ed è proprio lì che sei chiamato a riversare l’amore di Dio attinto nella celebrazione e nella preghiera. Quelle tre povere mura di sasso giunte da Nazareth a Loreto per opera dei crociati o, se vogliamo prestar fede alla tradizione antica, in un luminoso volo d’angeli, ci parlano di un Dio vicino che anche oggi vuole abitare tra noi perché, con Lui, anche noi possiamo trasformare il mondo in una casa accogliente e l’umanità in una sola famiglia, dove tutti sono fratelli e sorelle, senza più confini e distinzioni. Utopia? A vedere 40 adolescenti cantare “Ecco il nostro sì” verrebbe, invece, la tentazione di crederci. Buon mese di maggio, con Maria, donna accogliente.

Alessio Graziani

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