Annuncio della Parola e ministero ordinato sono strettamente intrecciati e nella corrente domenica si ha l’occasione per ribadirlo: il 23 gennaio, Domenica della Parola, nella Diocesi di Vicenza è anche la Giornata del Seminario, un momento per conoscerlo più da vicino, pregare per le vocazioni al presbiterato e sostenere anche economicamente questa importante realtà diocesana. Una realtà che, come noto, negli anni è molto cambiata in termini di numeri e di proposta formativa, ma che in tempi recenti ha vissuto un ulteriore “passaggio evolutivo”: con l’inaugurazione del Centro Onisto e ad un anno e mezzo dall’avvio delle attività dei vari uffici che ne occupano gli ambienti, il seminario ha l’occasione di ripensarsi e chi lo abita di sentirsi ancora più parte del cammino della Diocesi. Ne abbiamo parlato con il rettore, don Aldo Martin.
Don Aldo, con questa nuova organizzazione non c’è il rischio che il Seminario venga un po’ dimenticato?
«Il rischio che la nostra presenza venga un po’ occultata c’è, anche a partire dal nome: si è discusso se chiamare questo edificio solamente “Centro Onisto”, eliminando la parola seminario. Ma nella coscienza collettiva della Diocesi questo è ancora il seminario, per cui i due nomi coabiteranno. Ma si tratta di una coabitazione felice e di una sfida pastorale».
Questi cambiamenti come influiscono nella formazione dei seminaristi?
«Un tempo il seminario si concepiva come un ente “autarchico”. Questo schema è saltato, funzionava il passato, ma il Seminario cerca sempre di evolvere sull’onda del mutato contesto ecclesiale. Il fatto che i seminaristi vivano in un contesto in cui sussistono molti servizi diocesani seguiti da laici li immette spontaneamente in una idea di Chiesa sinodale».
Anche negli studi teologici il seminario non è più autonomo, da tempo i seminaristi frequentano la Facoltà teologica del Triveneto a Padova. Cosa caratterizza la vita dei seminaristi a Vicenza?
«Il collante che tiene insieme la vita comune è la vita in Cristo. La liturgia è centrale: lodi, lectio divina, eucarestia, adorazione eucaristica, vita spirituale condivisa esprimono la centralità di Gesù. Poi c’è il cammino formativo che condivide molto di quello che avviene in Diocesi. Il cammino per il diaconato, per esempio, lo si condivide con i diaconi permanenti, così come quello per il lettorato. Siamo presenti per partecipare alla formazione pastorale del popolo di Dio».
Qualcuno potrebbe obiettare che però così non avviene una formazione specifica.
«A cosa deve essere mirata la formazione specifica? A formare un tecnico che dall’esterno dice cosa va fatto? O dobbiamo formare l’animatore del popolo di Dio che vive e condivide il percorso della pastorale comune? È una sfida, non è detto che siamo riusciti a realizzarla in pieno, ma come obiettivo si va verso un presbitero che non è staccato dal popolo perché riceve una formazione “migliore delle altre” ma è a servizio dell’intero popolo di Dio e ne fa parte pienamente».
In questa prospettiva che significato assume vivere la Giornata del Seminario nella Domenica della Parola?
«La trovo una coincidenza felice. Il Papa vuole che nella vita dei credenti ci sia un rapporto di familiarità con i testi sacri. Il ministero presbiterale è a servizio di questo incontro. Il Concilio afferma che sulle labbra del prete si dovrebbe trovare sempre la parola di Dio, ma non perché ne sia il “detentore unico”, ma perché si fa garante che il dialogo tra Dio e il suo popolo continui. Il prete in quanto annunciatore della Parola, trova nell’evangelizzazione una delle modalità più concrete per spendere la propria vita. È vero che oggi i preti hanno tante incombenze amministrative, organizzative, burocratiche, ma il primo compito è l’annuncio».
Concretamente, oggi, il seminario dove è dislocato?
«Intanto bisogna ricordare che l’ente seminario ha fatto una donazione alla Diocesi che è diventata proprietaria dello stabile. La nostra competenza si è ristretta ad un angolo del chiostro Sacro Cuore: due piani ristrutturati e un sottotetto dedicato alle attività vocazionali. La comunità del seminario è inoltre responsabile della chiesa, anche nell’ottica di custodire quello spazio di preghiera all’interno del Centro».
Oggi quanti sono i seminaristi?
«In tutto sono nove, di cui sette residenti, un diacono a tempo pieno e uno che sta vivendo un’esperienza di un anno nella comunità dei gesuiti di Reggio Calabria. Si tratta di una piccola comunità che speriamo di poter replicare: se un seminarista giovane desidera non affrettare l’ordinazione può sperimentarsi e mettersi alla prova in altri contesti. L’equipe degli educatori è molto cambiata: oggi ne fanno parte, oltre a me, il vicerettore don Massimo Frigo, il responsabile del Mandorlo don Andrea Dani e don Luca Lorenzi, responsabile della pastorale vocazionale. Il padre spirituale, don Matteo Lucietto, è esterno in quanto è anche parroco a Nanto, Bosco di Nanto, Castegnero e Villaganzerla. Il vescovo Beniamino è molto vicino alla comunità. Siamo pochi ma vivaci. E il Seminario non è un luogo aperto: è un luogo spalancato».
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