Nella tela del 1996 Rangoni mostra Simone di Cirene mentre si china per sollevare Gesù.
La regolarità e la simmetria sono le componenti che maggiormente caratterizzano la tela dedicata alla nona stazione. La parte inferiore del dipinto è occupata dalla figura di Cristo, piegato sotto la croce con le mani a terra, sospinte verso il primissimo piano. Mani grandi, contratte dalla stanchezza, che si fanno tanto più evidenti poiché poste vicine allo sguardo del fedele. Simone di Cirene e, presumibilmente, un soldato si chinano su Gesù, cercando di sollevarlo con fatica. Ognuna delle due figure, eseguite con tocco solido e sicuro, è posta simmetricamente ai lati del Salvatore seguendo, nella curvatura della schiena, l’andamento obliquo del legno della croce. L’equilibrio perfetto con cui sono costruiti i primi piani della composizione riesce a mediare, rispetto a chi si ferma a contemplare, una sensazione di stasi, di sospensione, quasi una sorta di “fermo immagine”.
Colpisce, in particolare, Cristo che, per la prima volta nella sequenza di immagini fin qui narrate, svela il Suo volto. Nelle stazioni precedenti alla nona, il pittore ha volutamente posto in ombra il viso del Salvatore caricando di luce i gesti, la fatica, l’umanità di chi patisce con Lui o la spavalderia di chi lo schernisce lungo la via verso il Calvario. Questo è il momento di svelare, per l’artista, il Figlio di Dio nella fragilità dell’essersi fatto uomo, di mostrare quel volto sofferente posto proprio di fronte a noi.
Chi è colui che cade per la terza volta? Chi è questo Gesù? San Paolo ci ricorda che Lui, pur essendo di natura divina, incarnandosi, ha fatto sua la nostra natura umana. Pur oltraggiato e reietto, non pensò di valersi della sua eguaglianza con Dio, ma preferì annientare sé stesso, prendendo la natura di schiavo e diventando simile agli ultimi. Anzi per redimere tutti gli uomini, si degradò ancor di più, facendosi obbediente fino alla morte, anzi fino alla morte di croce (Fil 2, 6-8). La misura dell’annientamento è evidente quando Gesù cade ancora, per la terza volta, sotto la croce. Quel legno lo sta opprimendo, quasi schiacciando. Le sue mani grandi graffiano la polvere di quella strada: per noi che siamo tratti dalla polvere e ritorneremo polvere, Egli patisce tutto questo. Meditiamo su chi è Colui che cade, chi è Colui che giace nella polvere, chi è quest’uomo che riesce comunque a dare luce a quella gente tenebrosa che gli è attorno.
«Che cosa può dirci la terza caduta di Gesù sotto il peso della croce? […] non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Tutto ciò è presente nella sua passione.» (J. Ratzinger) Noi cadiamo così tante volte che perdiamo il conto, ma speriamosempre che ogni caduta sia l’ultima. Ma i nostri capitomboli si ripetono sempre! Quando uno cade tante volte, alla fine le nostre forze crollano e le speranze svaniscono, sembrano dissolversi definitivamente. Il Figlio di Dio ci incoraggia a rialzarci. Magari hai trovato qualcuno che ha provato ad aiutarti, ma quando ci sentiamo sfiniti, fermi, paralizzati, ci sembra che non riusciremo più a risollevarci. Guardiamo questa stazione della Via Crucis: “Signore vedo che, seppur con fatica, tu ti rialzi, raddrizzi le gambe e la schiena, per quanto sia possibile con una croce sulle spalle, e riprendi a camminare, di nuovo. Insegna anche a noi a non essere mai tra i vinti della vita”. d.F.G

