I problemi interni italiani e le delicate, preoccupanti vicende internazionali (lo status di Gerusalemme è solo l’ultima in ordine di tempo) non dovrebbero distrarre il Belpaese da ciò che bolle in pentola a livello Ue. Il Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre, a Bruxelles, recava all’ordine del giorno una lunga serie di temi riguardanti direttamente l’Italia, con buona pace di chi sottovaluta il peso dell’Europa nella nostra vita di ogni giorno.
Il calendario dei lavori prevedeva i seguenti punti: difesa comune, temi sociali (istruzione e cultura), relazioni esterne, migrazioni, Unione economica e monetaria, Unione bancaria, Brexit. Non c’era tema che potesse essere sottovalutato proprio in relazione alle ricadute che – presto o tardi – derivano dalle scelte (o non scelte) operate dai leader dei Paesi membri. Basterebbe fissare lo sguardo sui temi economici, oppure sulla difesa o le migrazioni, per comprendere che molti degli argomenti che attraversano le nostre chiacchierate quotidiane finiscono nell’agenda comunitaria, dove possono trovare risposta, parziale o totale, oppure essere ignorate, sottovalutate, non sufficientemente comprese. E se si considera il peso che la “percezione dell’Europa” ha oggi sull’opinione pubblica e sul “sentimento elettorale”, ben si comprende che gli esiti di un Consiglio europeo andrebbero puntualmente monitorati all’interno delle reali competenze dell’Unione europea, nel quadro dei Trattati che ne determinano il raggio d’azione, e in relazione al rapporto Ue-Stati, determinato dai due principi cardine della solidarietà e della sussidiarietà.
Fra i punti del summit era stato posto il Brexit. Dai 27 leader (Regno Unito escluso) si sarebbe atteso il via libera alla seconda fase dei negoziati per il divorzio dall’isola. La prima fase è quella che riguarda il passato, ovvero la chiusura del rapporto tra Londra e i partner europei; la seconda fase è quella relativa alle relazioni future in ambito economico, sociale, dei diritti, della difesa comune, della cultura, delle relazioni esterne… Ebbene, la Commissione europea ha raccomandato, l’8 dicembre, di far fare ai negoziati un passo in avanti, atteso che il governo di Theresa May, politicamente assai traballante in patria, sembra convinto a rispondere alle richieste dell’Ue soprattutto su tre aspetti particolarmente rilevanti: i diritti dei cittadini, gli obblighi finanziari di Londra verso l’Ue, le frontiere tra le due Irlanda. Se la May aveva provato nei mesi scorsi a fare la voce grossa su questi tre capitoli, ora sembra intenzionata a… capitolare. Anche perché, dopo le ultime elezioni britanniche volute dalla stessa May per rafforzare la maggioranza che supporta il suo esecutivo, la premier ha avuto un brusco risveglio: la debolezza del suo governo, appeso a una maggioranza parlamentare risicatissima, ha rinsaldato le convinzioni e le posizioni unitarie degli altri Paesi Ue, che ora pretendono che il Regno Unito rispetti i diritti dei cittadini europei che vivono sul suolo inglese, che paghi la quota spettante di bilancio sottoscritta fino al 2020 e che non intralci i rapporti tra Dublino e Belfast.
Se si mette nel conto che gli italiani residenti sull’isola sono parecchie migliaia e che i rapporti tra Italia e Gran Bretagna sono innumerevoli e concreti, ecco che già questo punto all’ordine del giorno del summit chiede attenzione competente e coinvolta. Se l’Europa cammina, anche l’Italia cammina. E viceversa.