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Se Pechino rallenta, rallenta anche l’Africa

28 Maggio 2019
in Mondo
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Se Pechino rallenta, rallenta anche l’Africa

Quando gli elefanti combattono è sempre l’erba a rimanere schiacciata, recita un proverbio africano. Vale anche per la guerra commerciale tra Usa e Stati Uniti che, stimano gli esperti della Banca africana di sviluppo, «entro il 2021 potrebbe causare una contrazione del 2,5% del Pil nei paesi africani altamente dipendenti dalle materie prime e una riduzione dell’1,9% per quelli esportatori di petrolio». A riferirlo è Marco Cochi, giornalista eanalista del think tank “Nodo di Gordio”.

Cina e Usa, con la Cina in enorme vantaggio sugli Usa, sono i maggiori investitori in Africa. Che conseguenze sta avendo la guerra dei dazi sull’economia del Continente?

«Se teniamo in considerazione il fatto che il peso dell’Africa sul commercio mondiale supera di poco il 2%, la guerra sui dazi tra le due maggiori potenze economiche globali non dovrebbe incidere più di tanto sul continente. Tuttavia, la Cina è il principale partner commerciale dell’Africa e se i suoi prodotti vengono colpiti dai dazi statunitensi c’è il rischio di un effetto a catena anche per i paesi africani. L’Africa è quindi vulnerabile alla guerra dei dazi e le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina hanno già avuto una qualche incidenza sulle vicende economiche dei singoli Stati deprezzando tra il 5 e il 10% molte valute locali. Mentre i proventi da esportazione hanno segnato una crescita molto più lenta rispetto all’indebitamento con l’estero, che sta raggiungendo livelli senza precedenti. Inoltre, gli esperti della Banca africana di sviluppo avvertono che la guerra commerciale Usa-Cina entro il 2021potrebbe causare una contrazione del 2,5% del Pil nei paesi africani altamente dipendenti dalle materie prime e una riduzione dell’1,9% per quelli esportatori di petrolio».

Sul piano geopolitico, il confronto tra i due giganti che conseguenze potrà avere sull’Africa?

«È ormai acclarato che in Africa l’equilibrio geopolitico pende ormai completamente in favore di Pechino. E per arginare l’espansione cinese nel continente gli Stati Uniti stanno elaborando una revisione della strategia per gli investimenti esteri concretizzatasi nell’istituzione della US International Development Finance Corporation, una nuova agenzia finanziaria per lo sviluppo in grado di stanziare 60 miliardi di dollari attraverso investimenti diretti. Ma più che uno strumento innovativo per raggiungere determinati obiettivi di sviluppo, l’iniziativa americana appare un tentativo per recuperare il gap commerciale con la Cina nel continente, che non può avere significative conseguenze per la crescita africana».

L’Africa riesce a ritagliarsi un ruolo da protagonista nei rapporti tra queste superpotenze o ne subisce l’iniziativa?

«Gli Stati Uniti sono i primi a sostenere che la Cina in Africa abbia impostato un approccio neocoloniale. Pechino, ovviamente, non investe per filantropia: la sua economia in forte espansione necessita di materie prime e ci sono alcuni paesi, come lo Zambia, che hanno serie difficoltà a rimborsare il debito contratto con Pechino. Ma l’interesse principale per gli investimenti nel continente è legato alla parte marittima del progetto della Nuova via della seta. Inoltre, i paesi africani rappresentano un terzo dei membri dell’Onu e portarli tutti nella propria sfera d’influenza renderebbe la Cina molto più solida dal punto di vista geopolitico. Lo scontro Usa-Cina potrebbe quindi tornare utile ai paesi africani, se solo avessero classi politiche lungimiranti».

Ogni tanto si leggono pareri di analisti che vedono nell’Africa il possibile scenario di uno scontro militare tra Usa e Cina: è una prospettiva realistica?

«Ad oggi, nel continente africano, sono presenti più di 7mila soldati americani, impegnati in Corno d’Africa, Sahel e Libia. Pochi se paragonati ai 23mila presenti in Corea, senza dimenticare che l’obiettivo del Pentagono è di ridurre gli effettivi presenti nel continente. La Cina ha invece 2.500 soldati in Africa, impegnati in missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite, mentre la presenza cinese è sempre più pervasiva nel settore della sicurezza in Africa. Ma escluderei che la Cina possa proteggere con la forza i propri interessi in Africa, diventata ormai un terreno di prova per la sua nuova immagine di attore di rilievo globale».

L’Italia e l’Europa hanno possibilità di riguadagnare peso economico e politico nei rapporti con l’Africa?

«Il tema predominante che emerge da ogni analisi del nostro governo relativa all’Africa è quello delle migrazioni. E questo appare un approccio limitato e non lungimirante nel rapportarsi con un continente di 54 Paesi. Riguardo all’Europa, molto dipenderà dalla sua capacità di ergersi a riferimento politico unitario nei confronti del continente africano. E per riuscirci dovrà far leva sul fatto di essere uno dei più importanti partner commerciali dell’Africa e il vicino più prossimo».

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