«Sono consapevole che questo può avere conseguenze, ma la verità deve prevalere sull’omertà. Anche Giovanni Battista sapeva quello che lo attendeva. Andò avanti comunque, per la giustizia». Padre Silvano Ruaro, missionario dehoniano originario di Monte Magrè, frazione di Schio, nei prossimi giorni rientrerà per qualche settimana nella città natale. Dopo una vita in Congo, è solo una pausa. Ma in questo rientro in Italia, padre Silvano ha fatto qualcosa che ha destato scalpore a livello internazionale. Convocato a Parigi a testimoniare nel processo contro Roger Lumbala, ex signore della guerra in Congo, l’87enne prete vicentino non si è sottratto. È andato alla sbarra, puntando il dito su un politico di primo piano dell’attuale governo congolese: Jean-Pierre Bemba, attuale vicepremier e ministro dei Trasporti.
Il processo
Proprio questa settimana Lumbala è stato condannato da un tribunale francese a trent’anni di carcere. La giustizia d’Oltralpe, che nel suo codice ha una norma sulla “giurisdizione universale” che le consente di aprire processi per crimini contro l’umanità avvenuti all’estero, ha incriminato il 67enne per quanto accaduto nella guerra che ha insanguinato il nord-est della Repubblica Democratica del Congo fra il 1998 e il 2003. Lumbasa con la sua milizia RCD-N era a capo dell’operazione “tabula rasa”, che sconvolse la provincia di Ituri e la città di Mambasa, dove era don Silvano. Con atroce ferocia: saccheggi, esecuzioni sommarie, stupri e torture, sparizioni, uccisioni efferate. L’altra milizia che operava nell’area era la ALC di Bemba. Ma se l’impianto accusatorio francese vedeva Lumbala principale artefice del massacro, la testimonianza di padre Silvano è andata in modo diverso dal previsto: il missionario, testimoniando su quello che vide con i propri occhi, ha indicato Bemba come principale responsabile dell’accaduto nel villaggio di Mambasa.
Testimone oculare
Il religioso in questi giorni è in Belgio. «Gli avvenimenti di cui ho parlato – spiega – risalgono al 2002. Al 12 ottobre di quell’anno: ne fui testimone oculare con un prete di Conegliano, Nerio Broccardo. Quindi ho detto quello che vidi. Se Lumbala era colpevole di una parte di quello accadde, la parte di Bemba fu molto maggiore». Il processo contro i signori della guerra congolesi ha destato grande scalpore in Francia ed è seguito con estrema attenzione in Congo. Le dichiarazioni di don Silvano – la cui testimonianza dei fatti è durata tre ore, a Parigi lo scorso 2 dicembre – potrebbero avere anche conseguenze politiche, nello Stato africano. Tanto da mettere in discussione la sua stessa sicurezza, quando dovesse tornare. Lui ne è consapevole: «Dovrò stare attento – commenta – per adesso non rientro, lo farò quando avrò indicazione di farlo da parte dei miei padri superiori in Congo».
Perché testimoniare
La scelta della testimonianza, di certo, non è stata facile. Ma il sacerdote ha scelto di non sottrarsi: troppo il dolore per quello che vide. Davanti alla corte francese il missionario ha rilasciato una testimonianza dettagliata. Quel terribile 12 ottobre, don Silvano dovette assistere all’assalto dei miliziani al villaggio. Non soldati ma banditi, a cui era stata data carta bianca: libertà di rubare e bruciare, di stuprare donne e ragazzine, di uccidere uomini e bambini. Di fare quanto volevano, senza doverne poi rendere conto. Ed è quello che accadde. Gli stessi miliziani che scorrazzavano per il villaggio e la missione dicevano di sè stessi di essere uomini di Jean-Pierre Bemba. Questo è quanto ha detto il prete, raccontando fatti andati avanti per tre mesi, il tempo in cui la missione fu sottoposta alla razzia. Scene purtroppo indelebili, rimaste impresse nella memoria del sacerdote vicentino. Troppo il dolore patito dai poveri, innocenti a cui padre Ruaro ha dedicato la vita.
La missione di padre Silvano
Con il suo impegno e il suo coraggio, Don Silvano nei decenni passati a Mambasa si è prodigato creando istituzioni per l’istruzione e lavoro – tra gli altri l’istituto tecnico superiore intitolato a Bernardo Longo, una scuola con 800 studenti. Nel 2013 ha passato il testimone ad altri preti, ritirandosi nella foresta per continuare la sua missione tra “gli ultimi fra gli ultimi”: la popolazione dei pigmei, etnia ai margini della società congolese. Lì, con l’aiuto della Provvidenza e di altri uomini e donne di buona volontà, ha creato un convitto per oltre cento bambini, avviato due scuole cristiane, dato vita a un progetto formativo per rendere autonomi, autosufficienti gli abitanti con l’agricoltura. E fra qualche settimana tornerà da loro. «Quando avrò il “semaforo verde” dai miei superiori, rientrerò – spiega – ma per adesso rimarrò un po’ a Schio. Sono affezionato a don Lino, il parroco di Magrè. Darò una mano con le celebrazioni della Messa».
Andrea Alba
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