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Home Interviste

Padre Riggio: «La vera emergenza? la bomba demografica»

23 Febbraio 2018
in Interviste, In primo piano
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Padre Riggio: «La vera emergenza? la bomba demografica»

Che cosa ci giochiamo, con le elezioni del 4 marzo? È la domanda che verrà fatta questa sera all’incontro in programma al Centro culturale San Paolo di Vicenza, alle 18. Ospiti dell’incontro, Luciano Lama del centro studi Cisl e padre Giuseppe Riggio, gesuita, di Aggiornamenti sociali, che abbiamo intervistato.

Padre Giuseppe Riggio di Aggiornamenti sociali

Padre Riggio, il presidente Mattarella e i vescovi italiano hanno invitato ad andare a votare il prossimo 4 marzo. Come valuta questo appello?

«Una certa astensione fisiologica fa parte delle dinamiche della vita democratica. Oggi però c’è il rischio che questo tasso di astensione possa essere consistente, a causa di una disillusione forte nei confronti della politica e della classe dirigente. Ma non è certo questo il momento per fare un passo indietro, anzi. Gli inviti che vengono da parte delle istituzioni e da parte dei vescovi vogliono proprio dire che è il momento di assumerci, fino in fondo, la nostra responsabilità di cittadini. Non si deve cedere alla tentazione di una deresponsabilizzazione generale, per cui di fronte allo scontento e alla disillusione ci si ritira nel proprio privato. Astenersi dal voto è una forma di protesta sterile, che non permette di esprimere in positivo ciò a cui teniamo, che non fornisce alcuna indicazione sull’Italia che vorremmo. Il presidente Mattarella ha invitato gli italiani ad avere questo sguardo che va al di là dell’immediato per poter porre le basi per un futuro del Paese. L’astensione è una forma per chiamarsi fuori che non serve e che non contribuisce in alcun modo a risolvere i problemi».

Certo la legge elettorale non aiuta, non crede?

«Negli ultimi cinque anni abbiamo avuto, tra leggi votate dal Parlamento e leggi che risultato dopo le modifiche introdotte dalla Consulta, cinque leggi per la Camera e tre per il Senato. Ci troviamo, così, di fronte a un cambiamento continuo della normativa elettorale ed è probabile che anche il Rosatellum bis sia una legge destinata a non avere una vita lunghissima».

Questa difficoltà nel darsi regole comuni, è uno degli indicatori della fase difficile che vive la nostra democrazia?

«Il nostro sistema è in fibrillazione da quando è finita la cosiddetta Prima Repubblica, che ha scosso le regole dell’assetto istituzionale e quelle consuetudinarie che reggevano i rapporti tra le forze politiche. Nel corso di questi ultimi 30 anni abbiamo sperimentato come, per intervenire su nodi chiave del sistema, si proceda sempre con accordi che non vengono mai vissuti come frutto di una intesa larga. Il Rosatellum (questa ultima legge elettorale) è stata sì votata con un ampio sostegno nel Parlamento, ma a colpi di fiducia cosicché si ha sempre la sensazione che sia una imposizione di una parte contro le altre. C’è questo “ragionare contro” che dice molto della difficoltà di pensare una convergenza su temi che dovrebbero essere fuori dallo scontro politico».

Che bilancio fa della legislatura che si è conclusa?

«È una legislatura che non era iniziata con buoni auspici. Ricordiamo tutti la difficoltà di formare un governo e di trovare un successore al presidenteNapolitano. C’erano diversi elementi che erano segno di un inceppamento delsistema istituzionale. Cinque anni dopo ci sono stati interventi in numerosi campi con scelte che sono state portate avanti dall’area politica che i governi hanno espresso nel corso della legislatura. Ci sono stati numerosi settori cruciali oggetto di intervento: dal mercato del lavoro, alla scuola, ai diritti civili. Non si è, dunque, rimasti inattivi, poi sui singoli provvedimenti si possono fare molti distinguo con elementi positivi e altri criticabili. Non è stato un tempo perso e questo lascia alla futura legislatura la possibilità di proseguire, recuperare laddove è possibile o portare a compimento. Una delle grandi questioni che rimane irrisolta è quella della riscrittura della legge sulla cittadinanza, il cosiddetto Ius soli, che è un passaggio fondamentale per definire il modo in cui l’Italia pensa l’inclusione».

Per l’appuntamento del 4 marzo quali possono essere i criteri per una scelta consapevole?

«La prima cosa è non fermarsi a quello che può essere il titolo di una pagina di giornale o di un social network, ma andare a guardare sul sito del Ministero degli Interni dove si possono trovare i programmi delle varie forze politiche e vedere che cosa hanno messo per iscritto. Leggere gli impegni presi può dare qualche riferimento più stabile rispetto a una campagna molto confusa e fatta di slogan. Vanno valutati gli elementi cardine di ogni programma, a partire dalle politiche proposte per tutelare la vita in tutti suoi aspetti alla valorizzazione di quelli che sono gli itinerari personali in termini di dignità, di sicurezza sociale ed economica, sapendo che non è possibile trovare tutto ciò a cui si tiene, perché non può esistere il programma perfetto. Si tratterà da parte di ciascuno di fare la necessaria valutazione e capire quali sono, tra le diverse proposte dei partiti politici, quelle che più si avvicinano al proprio sentire e ai valori che si ritiene importanti per le generazioni future».

Per un cittadino credente c’è qualche criterio aggiuntivo?

«Per un credente il criterio in più è non dimenticarsi di quelli che non hanno voce o hanno meno possibilità di farsi sentire. Penso, in particolare, ai giovani che non possono ancora votare o ai migranti che da anni hanno scelto l’Italia come loro casa, che contribuiscono alla ricchezza del nostro Paese, ma che non possono votare perché non hanno la cittadinanza. Votare come cristiani chiede di tenere presenti i criteri della giustizia e della solidarietà».

Qual è la questione più urgente che il nuovo governo, qualunque esso sia, dovrà affrontare?

«La questione che ne racchiude molte altre è quella demografica. Dobbiamo davvero sederci e ragionarci perché il nostro tasso di natalità è continuamente decrescente. Ci si troverà ad avere molti anziani e pochi giovani e questo pone questioni enormi: da quella delle pensioni, a quella del mercato del lavoro, dalla sanità all’assistenza, a ripensare il ruolo nella società delle persone che vanno in pensione e tutta la questione del contributo degli immigrati che arrivano. Se non si ragiona su questi elementi senza una prospettiva capace di integrarli si rischia di perdere in efficacia perché si ragiona per pezzi separati. È una “bomba” di cui non si parla ma che rischia di minare seriamente il futuro».

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