È iniziata per gioco, o quasi: tradurre le canzoni in LIS, lingua dei segni, per farle sentire (e apprezzare) anche a chi udire non può. Un passo dopo l’altro, arrivando a “Italia’s got talent”, per poi infrangere il “muro del suono” della canzone italiana nel suo stesso tempio: Sanremo. Il vicentino Nicola Noro, classe 1996, ha fatto della lingua dei segni (LIS) e lingua tattile dei segni (LISt) la sua professione. E oggi – festival e Rai a parte – della LIS è interprete e insegnante, a livello universitario, ma anche nel ciclo scolastico di base.
Nicola Noro, come ha cominciato?
«Conosco la lingua dei segni anzitutto perché mio fratello maggiore è sordo dalla nascita. Poi, ho deciso di iscrivermi all’università di Ca’ Foscari, a Venezia: fino a qualche tempo fa era l’unico ateneo dove ci si poteva laureare in LIS. Lì, con una collega e amica, per gioco abbiamo iniziato a tradurre canzoni… E’ andata che abbiamo partecipato a Italia’s got talent, arrivando in finale. Mi sono laureato in LIS approfondendo ulteriormente gli studi in seguito con un master in Interpretariato dei segni internazionali, in inglese, all’università di Siena. Oggi sono interprete e insegnante».
Dove insegna?
«Sono docente di LIS all’Università di Macerata. Inoltre lavoro con una progettualità della Regione Veneto, insegno la lingua dei segni nelle scuole dove ci sono bambini o ragazzi sordi».
Come è iniziata la collaborazione con il Festival della canzone?
«Con un concorso pubblico, indetto dalla RAI nel 2019 per selezionare interpreti che traducessero in LIS il Festival di quell’anno. Ho partecipato e sono stato selezionato, da lì è iniziata una collaborazione: all’inizio, abbiamo tradotto solo il Festival. Poi ci sono state opere liriche, un film, l’Eurovision contest, quest’anno per la prima volta le Paralimpiadi di Parigi».
Qual è il modo giusto per approcciarsi alla lingua dei segni?
«L’Ens, ente nazionale sordi, offre dei corsi in LIS. E poi ci sono molte risorse a cui si può accedere, anche nel mio canale Youtube ho pubblicato 10 lezioni sulla LIS. C’è anche una applicazione sviluppata da Ca’ Foscari, “Spread the sign”, che traduce le parole».
Quali sono le difficoltà di tradurre in LIS?
«E’ una lingua naturale e ha dei dialetti. Ad esempio, parlare o tradurre in altre parti d’Italia può essere più complicato».
Rispetto a quando ha iniziato gli studi, ha notato un cambiamento nella proposta di traduzioni per sordi?
«Nel servizio pubblico della RAI la sensibilità è aumentata. Tenendo presente che le attività sono iniziate nel 2019, l’Italia è stato l’ultimo Stato europeo a implementare questo servizio, da allora a oggi l’offerta è molto maggiore. A livello scolastico, in Veneto siamo fortunati perché ci sono dei fondi sia a sostegno di servizi nelle scuole sia nella sanità».
Anche a livello scolastico c’è più sensibilità?
«Purtroppo nella scuola pubblica il cambiamento non è avvenuto. L’alunno sordo ha un problema linguistico e ha diritto all’insegnante di sostegno, ma molto spesso avrebbe bisogno di un interprete: molti alunni, perlomeno. Quindi il supporto viene dato, ma ci sarebbe bisogno di un affiancamento diverso. In Veneto e in Puglia c’è un progetto specifico, regionale, per cui si insegna la lingua dei segni agli insegnanti e agli studenti nelle classi in cui ci sono bambini sordi. Però è un’iniziativa regionale, con iscrizione volontaria, e una classe può decidere o no di iscriversi. È un passo avanti e in Veneto siamo fortunati, ma servirebbe un’iniziativa nazionale».
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