Comitato al lavoro a 75 anni dall’eccidio per realizzare un museo diffuso.
«Il fumo delle case che bruciavano, le grida dei tedeschi, il rumore dei loro scarponi sul selciato della piazza e il cinturone con le bombe con il manico che aveva il tedesco che ha ucciso mio nonno». Sono i ricordi flash di una bambina risalenti al 30 aprile 1945 quando si consumò, ad opera dei tedeschi in fuga, l’eccidio di Pedescala dove furono uccise 64 persone e furono bruciate molte abitazioni (nella foto grande i funerali). La bambina con quei ricordi era Luigina. Aveva allora solo sei anni. Da grande li racconterà più volte al figlio Domenico Molo, oggi 56enne, componente del Comitato costituito circa un anno fa per dare vita a un Museo diffuso della memoria in quelle comunità segnate da tanto dolore.
«Mia mamma – racconta Molo – era in braccio a mio nonno quando lui uscì dicasa. Un tedesco lo colpì con il calcio del fucile e quindi cadde sopra a mia mamma che poi fu allontanata da un soldato tedesco». Incontriamo Domenico in redazione. «Mio nonno dopo essere stato ucciso è stato bruciato – racconta ancora – e come lui tantissimi altri uomini». I tedeschi in fuga verso il Nord perpretarono questo massacro a Pedescala, Forni e Settecà (dove furono uccise altre 18 persone) come rappresaglia a un assalto dei partigiani che avrebbero ucciso sei tedeschi. I tedeschi passarono casa per casa e uccisero tutti i maschi del paese. «Questo fatto – racconta – lacerò profondamente la comunità locale, con contrapposizioni che sono arrivate ai giorni nostri. Solo negli ultimi anni è iniziato un percorso per arrivare a una memoria condivisa. Prima non è stato possibile: da noi, fino a poco tempo fa, c’era una memoria contrapposta».
Il Dopoguerrra in questi paesi non è stato semplice per queste donne che si sono trovate sole e vedove, con bambini orfani di padre, costrette a ricostruirsi una vita. Anche questo ha reso tutto più difficile. «Da circa due anni – spiega Molo – abbiamo iniziato una serie di riflessioni con l’obiettivo di andare oltre le contrapposizioni. È il momento di guardareoltre perché con questo odio abbiamo aggiunto sofferenza a sofferenza. Abbiamo così iniziato questo percorso di ricomposizione della memoria, cercando di portare tutta la comunità intera attorno a un tavolo, andando oltre lo scontro vittime e carnefici. Lo scorso anno abbiamo così iniziato anche un dialogo con la comunità tedesca con un incontro nell’ambasciata tedesca a Roma per poter pensare iniziative comuni future. Da quel momento è cambiato l’atteggiamento della comunità ».
A Pedescala non si è mai dimenticato. «La memoria è sempre stata presente. Oggi c’è la volontà è che questa memoria diventi monito per il futuro perché questa cosa non si ripeta mai più e c’è la volontà di affidare tutto questo ai giovani». In paese ogni famiglia ha una precisa memoria di un dolore, su un luogo specifico. «Da qui nasce l’idea della valorizzazione dei diversi luoghi e della realizzazione di un Museo diffuso per il quale si sta pensando a una associazione e poi a una fondazione. La preoccupazione di chi ha vissuto questa tragedia è che tutto questo vada perduto. Da qui questo impegno». Tra i vari progetti c’è quello con la comunità tedesca di portare delle classi di studenti tedeschi a visitare Pedescala e valorizzare la memoria attraverso un percorso condiviso. Tutto questo avviene dopo 75 anni dall’eccidio «a conferma che il tempo è fondamentale per lenire le ferite». Oggi a Pedescala sono oramai tutti consapevoli che c’è da lavorare per il futuro e che per questo «è giunto il momento di deporre le armi».


