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Home Attualità Italia

Arturo Lorenzoni: «Non sono un radical chic. Mi stanno a cuore le fragilità»

20 Febbraio 2020
in Italia
1
Arturo Lorenzoni: «Non sono un radical chic.  Mi stanno a cuore le fragilità»

Arturo Lorenzoni in tram a Padova

Trattore contro bicicletta. Equitazione da un parte e rugby dall’altra. Il movimento più vecchio in Italia contro il civismo. Il presidente Zaia pensa e vive in dialetto (lo scrive lui stesso sul sito della Regione), il professor Lorenzoni parla inglese, francese, spagnolo e pure un po’ di cinese e insegna economia dell’energia all’università di Padova. Terra contro letteratura, lavoro sui campi versus intelletto. Due storie, due profili diversissimi. Zaia leghista da giovanissimo, Lorenzoni principiante della politica attiva, vicesindaco di Padova da due anni e mezzo. Civico schierato a sinistra, c’è chi mugugna “troppo a sinistra”, ma la replica arriva subito: «Mi dipingono come un pericoloso comunista, l’uomo dei centri sociali. Non è così». 

Questa è l’apparenza, quello che abbiamo letto in questi giorni sui giornali dell’uomo che il 24 maggio sfiderà re Zaia. Noi andiamo più a fondo. L’ingegnere Arturo Lorenzoni, calvizie al posto del ricciolo ingellato, ha 53 anni, è sposato con la stessa donna da 27 anni e padre di tre figli.  Vicesindaco di Padova è il leader di Coalizione Civica che alle Comunali patavine riuscì a tenere assieme il mondo antidestra: dai cattolici di sinistra ai più progressisti, dagli ambientalisti, ex democratici delusi agli esponenti di Rifondazione Comunista con qualche attivista dei centri sociali, raccogliendo il 22,8% al primo turno e poi rivelandosi fondamentale per l’elezione a sindaco dell’imprenditore Sergio Giordani, anche lui civico, vittorioso al ballottaggio contro il leghista Massimo Bitonci.  Lo “schema” che vuole riproporre nella corsa alle Regionali è lo stesso: “Il veneto che vogliamo”- sul sito sono aperte le adesioni – contro Luca Zaia.  

Raggiunto telefonicamente Lorenzoni non parla il politichese e ha un atteggiamento che tutto ricorda tranne i radical chic e i professori bacchettoni e ingessati. Si è formato dalle suore delle Dimesse e dai Gesuiti alle superiori. Gentile e “alla mano” si definisce un «cattolico impegnato». «La motivazione che mi ha spinto a candidarmi a Padova e successivamente in Veneto – dice – è legata alla mia formazione e al mio impegno cristiano, c’è in me un’attenzione innata alle persone, alla fragilità. Capire le esigenze dell’altro nella nostra regione non è difficile, basta vedere la difficoltà delle famiglie nel gestire la salute, le disabilità. Che cosa sta facendo il Veneto per migliorare il nostro sistema di relazioni in questo senso?». Altro cavallo di battaglia l’ambiente, il suo pane. «La fragilità è legata anche al nostro Creato che stiamo trattando male. Il Veneto che sogno è una regione che inizia ad investire sulle infrastrutture sostenibili, sui trasporti, l’edilizia, la logistica, su un’organizzazione economica che affronti le tematiche dell’inquinamento a breve termine e del cambiamento climatico a lungo termine. I 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile sono già un programma elettorale bello e fatto».
Qualcuno del centrosinistra storce il naso, dice che il professore “non funziona” perché non parla al mondo del lavoro del Veneto, roccaforte di Zaia. «Penso di avere la capacità di ascoltare anche il mondo del lavoro, ho rapporti molto buoni con i rappresentanti sindacali» sottolinea Lorenzoni. 

Zaia è imbattibile, il risultato pare scontato, d’accordo, però le elezioni del 24 maggio sono l’occasione per dare un po’ di lustro a questo centrosinistra (Pd in particolare) sgangherato, per rimediare al disastro di cinque anni fa con Alessandra Moretti agnello sacrificale che ha portato a casa il risultato più desolante della storia della coalizione alternativa alla destra in Veneto. Coalizione che non governa dal 1995, anno in cui fu eletto Giancarlo Galan, presidente per 15 anni, seguito da Luca Zaia che si prepara a fare lo stesso. 

«Zaia è una cornice senza contenuto – spara Lorenzoni -. È bravissimo a comunicare, ma ad esempio sul piano del rinnovamento digitale nelle aziende che contributo ha dato? Ha tirato fuori dal cilindro il piano regionale dei trasporti solo qualche mese fa. La sua non è una politica di progettualità. In tutti i settori vige la linea: fare il meno possibile per sbagliare il meno possibile».

Lorenzoni è stato scelto perché possa replicare lo schema padovano, dicevamo. Ma Padova non è il Veneto e Bitonci non è Zaia. In più ad oggi i possibili alleati (Italia Viva, + Europa, Movimento Cinque Stelle) non ne vogliono sapere di fare squadra: «Voglio unire mondi che storicamente sono rimasti divisi ma che sono molto vicini per contenuti: dall’atteggiamento inclusivo verso le persone, all’ambiente – dice ottimista -. Guardi la campagna plastic free che coinvolge tutta l’area democratica. Penso poi all’attitudine all’innovazione che non è presente nei partiti conservatori. Spero nel fronte unitario, auspico ad un atteggiamento pragmatico delle forze antidestra, per dare risposte concrete ai veneti, senza creare barriere. Non è giusto privarli  di un’opportunità. Il nostro obiettivo è amministrare la regione, concentriamoci su  quello che ci unisce. Come succede in tutte le famiglie». 

Alla candidatura di Lorenzoni non si è arrivati con serenità. Una parte lo voleva sfidante subito nel nome dell’apertura ai civici e ai movimenti invocata da Nicola Zingaretti; l’altra metà lo considerava una sorta di usurpatore, arrivato ad occupare il posto che spetterebbe di diritto a un dem. Uno su tutti Stefano Fracasso capogruppo uscente del Pd in regione che si è messo a disposizione del partito e che ha spinto per le primarie (trovate l’intervista nella versione cartacea della Voce dei Berici).

Prima ancora dell’arrivo in redazione della dichiarazione di Fracasso, era giunta quella di Giacomo Possamai, giovane dem che ha gentilmente declinato la proposta di Achille Variati che lo voleva sfidante ufficiale contro Zaia.

In questi giorni si stanno delineando anche gli altri sfidanti: il candidato ufficiale del Partito dei Veneti è il consigliere regionale uscente Antonio Guadagnini, dopo il passo indietro dell’imprenditore del burro e dei formaggi di Zanè Roberto Brazzale. «Accetta la sfida» anche l’ex senatore vicentino del Movimento Cinque Stelle Enrico Cappelletti, che ha confermato con un post. Sarà la piattaforma Rousseau a decidere.

Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale intanto al telefono ironizza, ma neanche tanto: «Lorenzoni chi? Ho letto che ha dichiarato che farà cose mai viste prima. Cose che non vedremo mai più.  È il classico candidato imposto da Roma. Ed è un classico per il Pd Veneto avere candidati che non vengono scelti dal territorio. Lorenzoni non è una figura nota. Chi lo conosce? Qualcuno addirittura sostiene che sia stato scelto come candidato solo per toglierlo dalla giunta di Padova dove sarebbe scomodo». 

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Commenti 1

  1. Gino Bae says:
    5 anni ago

    Ma perché in veneto sempre imprenditori e prof universitari? Sogno un operaio vero, mi accontenterei anche di un sindacalista, purché vero e di sinistra.
    Tralasciamo la parentesi lady-like perché è stata più che una delusione, una vera tragedia.
    Dimentichiamoci poi i calearo, i rubinato, i causin, queo dea cgia de mestre… porco can e poi dicono che vince zaia… par forsa!

    Rispondi

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