A volte viene usato per coprire una cicatrice. Altre, per semplice voglia di esibire ed esibirsi. Ma spesso è un modo per manifestare l’importanza di un’emozione, di un momento della vita, di qualcuno: sulla propria pelle. «Un giorno è venuta qui una signora di 80 anni, accompagnata dalla figlia. Le ho tatuato il fiore di un ciliegio: mi ha detto “avevo sempre voluto farlo, ma non osavo”». Cristian Todesco e Lucia Scanagatta, tatuatori professionisti, parlano del loro lavoro nel negozio Sacrum Cor, a Zanè. Una professione che, anche nel Vicentino, negli ultimi anni ha visto moltiplicarsi i clienti – ormai, appunto, di ogni fascia di età – e anche il numero di attività.
Di solito, spiega Todesco, le persone suonano nello studio di tatuatori e presentano un’idea, un desiderio. «Da qui, noi facciamo un progetto. E glielo proponiamo – spiega il professionista, che svolge questa attività da 30 anni -. Più di rado viene portata una bozza, in tal caso in genere viene reinterpretata. Bisogna sempre pensare a come sarà il disegno fra un certo numero di anni, tenere conto delle distanze fra le linee. Deve essere fattibile e bello da vedere». Esistono varie tipologie di disegni: se Todesco ad esempio è specializzato in disegni in stile giapponese e orientale in genere, per grandi superfici – un braccio, la schiena, il petto – ci sono anche tipologie di disegno geometrico, o iper-realistico, minimalista, “blackwork”. Disegni piccoli, che possono richiedere un impegno di mezz’ora o poco più, oppure opere molto grandi che richiedono più sedute di alcune ore ciascuna.
Non manca chi cerca simbolismi che hanno a che fare con la spiritualità. Scanagatta, che ha alle spalle un percorso di studi ad hoc e svolge questo lavoro da nove anni, mostra un disegno che lei stessa ha sul polpaccio: ritrae la Madre di Dio in lacrime, con al petto il Sacro Cuore. «Questo disegno risponde a una mia motivazione di fede – osserva la ragazza – ma non è così raro che mi venga chiesto di tatuare delle frasi con una valenza sacra, delle preghiere – a volte in arabo – o delle icone. La spiritualità è spesso presente, in qualche forma, nell’atto di farsi un tatuaggio». Il legame con la religiosità, in realtà, è stato in passato direttamente presente anche in Italia. I professionisti citano ad esempio l’abitudine che i pellegrini avevano un tempo dopo la visita al santuario di Loreto di tatuare per ricordo sulla propria pelle un richiamo di fede: croci, simboli sacri, corone di spine. In generale, comunque, «è soprattutto vissuto come un rituale di passaggio – riprende Scanagatta – penso che nei secoli sia stato ingiustamente demonizzato. Oggi con una mentalità più aperta e più multiculturalità è finalmente sdoganato».
Ma qual è l’identikit di chi lo chiede? In realtà, tutte le fasce d’età sono ormai coinvolte. Nello studio di Todesco si presentano anche minorenni, ragazzi di 16-17 anni che spesso e volentieri chiedono tatuaggi molto visibili: nel collo, sui polsi. «Glielo sconsigliamo e proponiamo altre soluzioni. In ogni caso, quando c’è un minore deve esserci sempre il consenso dei genitori». Ma ormai capitano di frequente anche signore dai 60 ai 70 anni, anche di più. Con il desiderio di avere sulla pelle le iniziali della figlia o il nome del nipotino appena nato. «A volte, si chiede il nome di un familiare che non c’è più. Il marito, la compagna» spiega la professionista.
E c’è il capitolo, da non sottovalutare, delle “coperture”: «Quasi ogni giorno ci capitano delle persone che chiedono di “coprire” o cancellare qualcosa che non vogliono più, o che non è stato disegnato bene. È molto difficile, costa molto e non sempre è possibile. Dal punto di vista della salute, anche qui è importante affidarsi a un professionista che ha attrezzatura mono-uso: del resto anche se vado dal dentista e gli strumenti non sono sterili rischio di farmi male. In definitiva, è fondamentale informarsi al meglio su quello che si vuole e su chi può eseguire il lavoro – conclude Todesco – un tatuaggio non è come un cambio d’abito».
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