Amicizia Sociale

Le “buone amicizie” coltivate dai Salesiani

L'oratorio dei religiosi da 120 anni è luogo di aggregazione e crescita. Don Andreoli: «Siamo qui per il bene dei ragazzi».
di Andrea Frison

«Don Francesco, sulla mia scrivania sono arrivate decine di denunce a minori. Sai dirmi che succede?». Dopo aver ricevuto la telefonata dell’assistente sociale del Comune di Schio, in don Francesco Andreoli deve essere subito scattato l’istinto salesiano: “Questi ragazzi hanno bisogno di un amico”.

Don Francesco da tre anni vive a Schio, nella comunità salesiana che gestisce l’oratorio di via Guglielmo Marconi, una realtà storica per la città laniera che qui è presente da 120 anni e che da allora promuove attività formative, sportive e di animazione del tempo libero. Una di queste è il celebre “cortile”, «uno spazio informale dove chiunque può venire per giocare a calcio o per fare due chiacchiere – racconta don Francesco -. È frequentato da bambini e da adolescenti che qui trovano sempre una figura disponibile ad ascoltarli, a stare con loro e a giocare, sempre nel rispetto delle regole: il rispetto dell’altro, il linguaggio educato, la pazienza nell’aspettare il proprio turno primo di entrare in campo». Dal cortile, prima o poi, tutti i ragazzi di Schio ci passano, almeno una volta. Anche chi bazzica la strada, le piazze, che magari proviene da contesti sociali fragili o che con il rispetto delle regole può avere qualche difficoltà. «Il segreto è proprio questo – spiega don Francesco -, qui offriamo delle regole e la possibilità di venire accolti».

Per questo la telefonata dell’assistente sociale è arrivata a don Francesco: «Grazie all’oratorio siamo in contatto con i ragazzi, le storie girano, sapevamo che qualcosa stava capitando». E così si è passati all’azione, non prima di aver risolto un “piccolo” problema: « In queste settimane il cortile dell’oratorio è chiuso, a causa della pandemia. Dovevamo pensare ad un modo per incontrare i ragazzi. È nato così un progetto di animazione di strada in collaborazione tra i salesiani, il Comune e la cooperativa “Primavera nuova”. L’obiettivo è incontrare i ragazzi più a rischio in quelli che sono diventati luoghi abituali di ritrovo, visto che i normali centri di aggregazione, come l’oratorio, sono tutti chiusi. Stiamo definendo il progetto perché ci sono molte regole da rispettare, soprattutto per evitare assembramenti, ma appena saremo pronti, partiremo».

L’iniziativa si inserisce perfettamente nel solco tracciato dal fondatore dei salesiani, San Giovanni Bosco, a partire dal sogno che “Giovannino” ebbe a 9 anni, «Quando il Signore riferendosi ai suoi coetanei gli disse: “fatteli amici perché vedano attraverso di te che vale la pena di fare il bene” – racconta don Francesco -. L’altro episodio chiave è la visita alle carceri assieme a don Cafasso, dove vedendo i ragazzi don Bosco medita: “Se trovassero un amico fuori di qui… eviterebbero di fare il male”».

“Amici”, sintetizza don Francesco, «è la prima parola con cui San Giovanni Bosco identifica la sua missione. Sulle “buone amicizie” don Bosco ha scritto tantissimo: esorta continuamente a trovare amici buoni, che non facciano cattivi discorsi, obbedienti ai genitori e che coltivano la preghiera». Sono queste “buone amicizie” che i salesiani di Schio tentano di costruire all’interno dell’oratorio, dalle proposte informali come quella del cortile a quelle più strutturate. «In modo particolare, teniamo molto a due iniziative: “Dopo la campanella” e il corso di italiano per stranieri. Il primo è un doposcuola dove chi ha bisogno viene aiutato con i compiti dandosi reciprocamente una mano e dove i ragazzi delle superiori si mettono in gioco con i più piccoli. Lo stesso avviene alla scuola di italiano per stranieri. Sono due proposte dove si incontrano una molteplicità di etnie, dove partecipano persone che hanno davvero bisogno di aiuto e anche chi viene semplicemente perché gli piace l’ambiente. Ci muoviamo tra cattolici, ortodossi, musulmani… Il nostro riferimento religioso è esplicito, ma i genitori sanno che siamo qui per il bene dei ragazzi, di tutti i ragazzi ».

In questo periodo di pandemia, in cui molti legami sociali sono stati messi in crisi se non cancellati, secondo don Francesco «si sente un grande desiderio di “territorio”, di fare rete per prendersi cura di questi ragazzi».

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