Popolo

Popolo, riappropriamoci di un uso non retorico di questo termine

di Don Matteo Pasinato

Papa popolare? Bergoglio lo è in mezzo al popolo (popolare per lui significa con la gente), ma anche davanti al popolo (popolare significa capacità di guidare) e pure dietro al popolo, nella parte “ultima”, per raccogliere fatiche e proteste di chi si prende o è lasciato indietro (popolare significa non perdere nessuno). La popolarità di Francesco non è simpatia furbesca che prende dal popolo ciò che serve a lui. Popolo è “il tutto” da cui Francesco non riesce a staccarsi, senza popolo non riesce a pensarsi, con il popolo cerca direzioni. Quello che il papa intende per «popolo» lo si può vedere nel passo comune che ha, nelle scarpe popolari, nei gesti pieni di umanità autentica e sana.

Eppure c’è qualcosa che si può trovare nelle parole di Francesco. Del suo tratto popolare fa parte anche il linguaggio: popolare, schietto, comprensibile, affettuoso e pesantissimo. Una di queste parole la si cava fuori dalla Fratelli tutti. La si deve cercare a lungo, non la troviall’ingresso dell’enciclica, ma in una stanza interna, dove il papa propone qualcosa sulla «migliore politica» (cap. 5). Da dove prendequesta parola? La usa come un “reperto religioso” (provate a cercarla nelle preghiere o nei canti della liturgia)? La prende

dalla Bibbia, una storia di salvezza popolare che si chiude con la Gerusalemme nuova che “scende” dal cielo (… ma non dice che chi muore “sale” al cielo?), e nella città nuovascesa in terra «Dio dimorerà con gli uomini ed essi saranno suo popolo» (Ap 21). Saranno un popolo – ripete l’ultimo libro della Bibbia – di ogni lingua, di ogni razza, di ogni nazione (almeno cinque volte). Certo il papa ha in mente anche questo, Ma non sembra stare qui il “peso” della parola “popolo” nella Fratelli tutti. Non è una parola solo religiosa, o biblica. È una parola «politica».

E la migliore politica non è quella della classe politica (quelli che noi chiamiamo “politici”), ma quella di ciascuno di noi, in quanto cittadino che vive in una città, che offre e riceve aiuto dalla città, si prende cura della città, lavora perché funzioni bene, e ogni tanto ne giudica il governo, propone chi lo rappresenta. Perché «la sovranità appartiene al popolo».

Ma la parola «popolo» la usano in molti. Qualcuno la utilizza in modo retorico per nominare la massa, altri ci dicono che è appiccicata a una bandiera che sventola, altri ci dicono che il popolo conta solo per i suoi confini, per la capacità di battere i pugni. Da qualcuno il popolo viene utilizzato (ci si serve del popolo!) per avere una vita meno popolare possibile (avere potere, avere denaro, avere privilegi …). Non che la chiesa sia fuori da tutto questo nella sua lunga storia. Allora il primo effetto che può generare l’uso bergogliano di «popolo» è tornare ad appropriarci di un uso che non sia retorico del popolo. Altrimenti si aggiunge un “-ismo”, di cui si usa parlare forse anche troppo oggi: populismo. Il populismo è la rassegnazione di un popolo che si lascia utilizzare, dividere e prendere in giro (solo per essere sfruttato). Il populismo è la baldoria di una massa che non conosce la sua storia, rinnega la sua vera cultura, deride la dignità della sua onestà, e alla propria laboriosità preferisce la chiacchiera dei “garantiti”. Populismo è perfino derisione della propria fede.

La «peggiore politica» (diciamo noi) o la «migliore politica» (dice il papa) non stanno solo nelle mani dei potenti, o nei palazzi del governo, o nella canonica del parroco … stanno anche in ciascuno di noi. Ma non bastano “conversioni personali” di chi passa da una parte all’altra, o cambia dalla sinistra alla destra, o appoggia un governo rispetto a un’altro.

Si tratta di un modo di pensare di ciascuno, di un modo di parlare e di vivere che sia «popolare», e faccia spazio ai legami comunitari. Di questo il papa è sicuro: «Una terra sarà feconda, un popolo darà frutti e sarà in grado di generare futuro solo nella misura in cui dà vita a relazioni di appartenenza tra i suoi membri, nella misura in cui crea legami di integrazione tra le generazioni e le diverse comunità che lo compongono; e anche nella misura in cui rompe le spirali che annebbiano i sensi, allontanandoci sempre gli uni dagli altri» (FT n. 53).

A noi basterebbe che queste parole facessero sorgere la domanda: ma quello che il papa dice è vero oppure no? E dopo aver risposto personalmente troveremo le ragioni per apprezzare le relazioni, vivere in uno spazio comune, valorizzare quello che siamo, cambiarlo insieme, proteggerlo insieme, celebrarlo insieme. Altrimenti ognuno si arrangia … o se ne frega!

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