Sono passati trent’anni da quando la Chiesa anglicana decise di ordinare le donne prete e appena dieci dalla prima consacrazione episcopale di una di esse.
Venerdì scorso, al termine di un articolato processo di consultazione ecclesiale, Carlo III ha ratificato la nomina di Sarah Elizabeth Mullally quale Arcivescovo di Canterbury e dunque primate d’Inghilterra e capo spirituale di tutta la Comunione anglicana, quasi 80 milioni di fedeli sparsi in 164 paesi del mondo.
Una “prima volta” che non può non generare interesse, curiosità, dibattito.
Mullally, 63 anni, una laurea in infermieristica oncologica, ha lavorato a lungo per il Servizio Sanitario Britannico prima di studiare teologia ed essere ordinata prete anglicano nel 2002. Divenuta vescovo nel 2015, dal 2018 era a capo della diocesi di Londra. Sposata con un consulente aziendale in pensione, è madre di due figli adulti, Liam e Grace.
«Lavare i piedi ha plasmato la mia vocazione cristiana: prima come infermiera, poi come prete, poi come vescovo» — ha detto la nuova primate anglicana in un breve discorso nella cattedrale di Canterbury — e ha concluso:
«Nel caos apparente che ci circonda, nel mezzo di una profonda incertezza globale, la possibilità di guarigione risiede solo in atti di gentilezza e di amore».
Parole che a molti hanno ricordato quelle pronunciate dalla “collega” vescova anglicana di Washington Mariann Buddein occasione dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca nello scorso gennaio. Donne coraggiose, indubbiamente, e credibili, che parlano di tenerezza e compassione con la fermezza che viene da una fede profonda in Gesù Cristo e una chiara consapevolezza della missione della Chiesa e dei cristiani nel mondo.
Messaggi gratulatori sono giunti a Sarah Mullally anche dal mondo cattolico.
L’Arcivescovo di Westminster ha mostrato apprezzamento per “i doni personali e l’esperienza ecclesiale” dell’eletta e si è detto certo che “insieme risponderemo alla preghiera di Gesù affinché siamo tutti una cosa sola, sviluppando legami di amicizia e di missione condivisa tra la Chiesa d’Inghilterra e la Chiesa cattolica romana”.
Così anche il cardinale Kurt Koch, responsabile del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, ha inviato una lettera al nuovo Arcivescovo di Canterbury, augurandole di essere “strumento di comunione e di unità” tra i fedeli della Chiesa d’Inghilterra, ma anche tra le diverse comunioni ecclesiali.
Parole non solo di circostanza, ma che rivelano la consapevolezza delle tensioni evidenziatesi ultimamente sia all’interno della Chiesa anglicana che nel dialogo ecumenico.
La nomina di Sarah Mullally avviene infatti dopo le dimissioni del suo predecessore, l’arcivescovo Justin Welby, accusato di non aver affrontato con la necessaria risolutezza un grave caso di pedofilia. Ma la Chiesa d’Inghilterra si trova ad affrontare una serie di altre criticità non dissimili da quelle che affliggono anche la Chiesa cattolica: diminuzione di fedeli praticanti, ristrettezze economiche, tensioni con alcune frange più tradizionaliste (anche del clero) che non hanno accettato di buon grado l’ordinazione delle donne e la benedizione (non il matrimonio) delle coppie dello stesso sesso.
Proprio la questione dell’ordinazione femminile si sta evidenziando, peraltro, come uno dei punti che maggiormente rendono complesso il dialogo ecumenico con le Chiese riformate.
La presidente della Chiesa evangelica della Svizzera, Rita Famos, ad esempio, ha recentemente affermato in modo piuttosto secco che “finché la Chiesa cattolica si rifiuterà di concedere pari diritti alle donne in tutte le cariche, nessun Papa potrà rivendicare il primato su tutti i cristiani”.
Stando a quanto dichiarato in un’intervista rilasciata a metà settembre alla giornalista Elise Ann Allen, Leone XIVintende continuare sulla linea di Francesco nel valorizzare la leadership femminile, ma vede come “altamente improbabile” un cambio nella teologia e nella prassi della Chiesa cattolica circa le ordinazioni.
Un tema su cui si continuerà comunque a discutere, inevitabilmente sollecitati dal confronto ecumenico in un villaggio sempre più globale.
Alessio Graziani, donalessio@lavocedeiberici.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA