È morto il 13 maggio, a quasi 90 anni di età. Papa Francesco, che lo incontrò due volte, disse di lui che era un uomo saggio. Josè (per tu i Pepe) Mujica, fu Presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015, dopo aver combattuto una vita (e non solo idealmente) per i diritti dei contadini e degli operai. Rivoluzionario vecchio stampo, politicamente marxista leninista, ateo, assertore convinto di una necessaria ridistribuzione delle ricchezze, fu paladino dei diritti civili, matrimoni omosessuali, aborto e liberalizzazione delle droghe compresa. Ma a differenza di molti altri “compagni”, la sua vita fu profondamente coerente con i suoi ideali politici. Scontò ben 12 anni di carcere duro e di torture durante la feroce dittatura militare del presidente Bordaberry, poi condannato per crimini contro l’umanità. Logico che, molto tempo dopo, divenuto a sua volta Capo di Stato si adoperasse per garantire tutte le tutele possibilità ad ogni categoria di persone.
Probabilmente furono anche alcuni collateralismi del Partito Nazionale con esponenti ecclesiastici uruguayani, a portare Pepe su posizioni laiciste, pur riconoscendo e apprezzando il ruolo svolto dalla Chiesa cattolica nel salvaguardare ciò che ci rende umani e la “casa comune” in cui siamo stati posti a vivere. Ma la statura morale di Josè Mujica si manifestò soprattutto quando divenne Presidente dell’Uruguay, all’età di 75 anni. Continuò a vivere con la moglie in una piccola fattoria nella periferia della capitale, Montevideo, a girare con la sua vecchia auto, un Maggiolino del 1987, e soprattutto volle ricevere uno stipendio dieci volte inferiore a quello che gli sarebbe spettato, appena 800 dollari al mese che, disse, “è comunque molto di più di quello che prendono la maggior parte dei miei concittadini”. Il resto dell’assegno mensile di 8.000 dollari spettanti per legge al Presidente della Repubblica, fu devoluto regolarmente in quegli anni ai poveri. Altro che i proclami di alcuni nostri politici. Ma l’aspetto forse più interessante, attuale e condivisibile della sua visione sociale e antropologica fu la critica radicale al modello capitalistico e consumistico imperante, con la sua idea falsa e drogata di felicità.
Pepe non aveva dubbi nel definire il consumismo una forma di schiavitù o di dipendenza. Diceva: “Viviamo in un mondo nel quale si crede che avere successo significhi possedere tanto denaro, avere privilegi, una casa grande, auto potenti, maggiordomi, vacanze extralusso… Mentre io penso che questo modello vincente sia solo un modo idiota di complicarsi la vita. Penso che chi passa la sua vita a accumulare ricchezza sia malato come un tossico dipedente, an drebbe curato“. E concludeva esortando tutti, in particolare i giovani: “Non sprecate la vita nel consumismo, trovate il tempo invece di vivere per essere felici”.
Già, il tempo. Perchè è proprio questo che rischiamo di consumare interamente nel lavoro e nelle dinamiche produttive, nelle cose da fare, in cambio di soldi da accumulare o da spendere per cose il più delle volte non necessarie. Ma il tempo per stare con chi amiamo, per comprendere il senso della vita e contemplarne la bellezza e il mistero, nessuna cifra di denaro sarà poi in grado di restituircelo. E potremmo accorgercene troppo tadi. La sua parola favorita era “sobrietà” e non nascondeva di averla imparata da alcuni amici francescani. Un modo preciso di stare al mondo: no bile, libero e rispettoso.
Alessio Graziani, donalessio@lavocedeiberici.it
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