In Colombia una comunità ha detto ‘no’ alla violenza, da qualsiasi parte provenga. Il racconto di una vicentina.
Non provare odio dentro se stessi, così ogni giorno si può costruire la pace. Silvia De Munari lo ha imparato da Brigida, donna colombiana alla quale è stata ammazzata la figlia di 16 anni. Silvia, 34 anni di Bolzano Vicentino, è una volontaria dell’Operazione Colomba, progetto di scorta civile nonviolenta della Comunità Papa Giovanni XXIII. Dopo un anno di Servizio Civile in Cile, Silvia è arrivata in Colombia, nel 2013, dove l’Operazione Colomba è attiva per la protezione dei civili della Comunità di Pace di San Josè de Apartado. Si scrive “Scorta civile nonviolenta” ma si legge “scudi umani”: i volontari dell’Operazione Colomba proteggono di fatto con i loro corpi gli abitanti del villaggio in un territorio dove è in corso una guerra a bassa intensità. «Dopo l’accordo di pace tra il Governo e le Farc i guerriglieri hanno abbandonato la regione che ora, però, è presidiata da gruppi paramilitari di mercenari a servizio di interessi privati». Interessi che nella regione in cui si trova la Comunità di Pace vanno dalle risorse del sottosuolo ai corridoi per la spedizione della coca in tutto il mondo. Interessi pesanti, ad alto tasso di violenza e zero scrupoli, per i quali la Comunità di Pace San Josè de Apartado rappresenta una pietra di inciampo.
«La Comunità, che oggi conta circa trecento abitanti, è nata nel 1997 proclamando la sua neutralità nei confronti di qualsiasi attore armato, legale o illegale, presente nel territorio – racconta Silvia -. I principi della comunità sono ferrei: le armi non possono entrare nel villaggio, non sideve coltivare la coca che è un elemento di conflitto in Colombia, non si può bere alcol e non vanno scambiate informazioni su una parte o l’altra del conflitto. La piùradicale è che la Comunità ha rinunciato a tutti i risarcimenti dovuti alle vittime della guerra tra il Governo e le Farc, chiedendo come ‘risarcimento’ verità e giustizia, unicavia per raggiungere la vera pace». Ora chela guerra è, formalmente, conclusa, i pericoli per questa comunità che lotta pacificamente per difendere e coltivare la propria terra, non sono finiti. «Il 29 dicembre 2017 un gruppo di uomini armati è entrato nel magazzino del cacao peruccidere il rappresentante legale della Comunità. Questi è riuscito a strappare di mano la pistola ad uno degli assalitori e a mettersi in salvo. Sono stata la prima persona che ha chiamato, è stato un momento durissimo del tentato omicidio. Ma la comunità ha votato perché venisse distrutta pubblicamente, per non venire meno al loro principio di neutralità».
Per questo e per molto altro «leggere l’enciclica “Fratelli tutti” in Colombia è come guardarsi in uno specchio – spiega Silvia De Munari -. Lo abbiamo fatto in Comunità appena è uscita e sembra che alcuni capitoli parlino proprio di questa gente, che in questi anni ha pagato un prezzo altissimo ma continua a credere e a lavorare per la pace».Al punto che un’esperienza analoga a quella Colombiana potrebbe nascere in Siria: «Tempo fa, in Italia, alcuni membri della Comunitàhanno incontrato dei profughi siriani in Libano, ed nata l’idea di creare in Siria una zona umanitaria. Per ora è un grande sogno, ma è ancora una volta il tentativo di dire “no” alla guerra per costruire qualcosa di diverso».