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Home Interviste

Rosy Bindi: «Risultati importanti nella lotta alla mafia»

28 Dicembre 2017
in Interviste
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Rosy Bindi: «Risultati importanti nella lotta alla mafia»

Il 2017 è stato un anno importante per la lotta a mafia e corruzione in Italia? Lo abbiamo chiesto a Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia, con uno sguardo rivolto anche al 2018 che si affaccia.

Quali sono stati i risultati più rilevanti, presidente?

«Quest’anno ci sono stati due risultati molto importanti: la riforma del Codice antimafia e la legge sui testimoni di giustizia, che hanno visto la Commissione parlamentare antimafia impegnata sin dall’inizio del loro percorso nella legislatura. Abbiamo svolto due inchieste ascoltando tutte le realtà istituzionali e associative interessate da misure di sequestro, confisca, riutilizzo dei beni confiscati alle mafie e testimoni di giustizia, inchieste che si sono tradotte in progetti di legge sui quali il Parlamento ha lavorato a lungo».

La legge sui testimoni di giustizia è stata approvata proprio alla fine di quest’anno, il 21 dicembre…

«I testimoni di giustizia finalmente hanno un loro statuto che li distingue dai collaboratori di giustizia. Era giusto che nel nostro ordinamento trovassero un loro posto originale perché il testimone di giustizia è vittima di mafia, non è mai stato parte del mondo mafioso, come il collaboratore. Ha un profilo molto importante di testimonianza civile. Sappiamo quanto sono preziosi anche per motivare alla lotta alla mafia le giovani generazioni e non solo».

Come giudica il Codice antimafia?

«Il Codice antimafia è una riforma di sistema molto importante perché il tema della sottrazione dei beni alle mafie è stato considerato uno degli strumenti più efficaci fin da quando ci siamo dati questo strumento, tra l’altro siamo gli unici al mondo ad averlo. Uno strumento che aveva subito varie riforme nel tempo, ma nessun intervento davvero strutturale, come abbiamo fatto in questa legislatura. E questo renderà più veloci e più garantite le procedure giudiziarie e soprattutto più efficace l’utilizzo dei beni attraverso il rilancio dell’Agenzia. Credo che il Codice potrà essere un volano di crescita e soprattutto di giustizia sociale, oltre che un grande motore di legalità per il nostro Paese. Ci sono state alcune critiche, ma noi le consideriamo strumentali, perché prevedere l’applicazione di misure di prevenzione come la confisca dei beni anche a corruttori e corrotti seriali, nel tempo in cui le mafie più che sparare corrompono, significa prima di tutto bruciare ancora di più il terreno nel quale le mafie crescono e anche privare le stesse mafie di interlocutori che spesso sono loro complici. Perciò, è un gran risultato che ci auguriamo consentirà allo Stato di investire in una prima fase, perché sottrarre un immobile alla mafia significa spesso doverci investire delle risorse per renderlo fruibile, ad esempio, nelle politiche della casa. Ugualmente riuscire a portare un’azienda mafiosa nella legalità significa investire, togliendo dal nero il personale, trovando una rete di clienti e fornitori non compromessi con il potere mafioso. L’obiettivo è poi rendere questo immenso patrimonio redditizio per tutta la comunità».

Allargando lo sguardo alla legislatura che si sta per concludere che giudizio può dare nel contrasto a mafie e corruzione?

«In questa legislatura ci siamo dotati di un apparato normativo che aiuta a combattere le mafie in quegli ambienti di vita dove loro amano insediarsi. Penso, ad esempio, aver individuato il reato di caporalato oppure aver tipizzato i reati ambientali, il reato di voto di scambio, la riforma sugli appalti, l’istituzione dell’Autorità anticorruzione. Penso che complessivamente si siano fatti dei passi positivi. Certo, non poteva che essere così: un momento come quello che stiamo vivendo è particolarmente propizio. Il presidente della Repubblica è fratello di una vittima di mafia; il presidente del Senato è stato procuratore nazionale antimafia; abbiamo un Papa come Francesco che scomunica i mafiosi e si parla anche di scomunica per i corrotti».

Il 22 dicembre la Commissione antimafia ha presentato la Relazione sulle infiltrazioni mafiose nella massoneria in Sicilia e Calabria. Quali sono i risultati più interessanti emersi?

«Sono 193 i nominativi di appartenenti alle logge massoniche con 350 processi in corso, alcuni dei quali si sono già conclusi con sentenze di condanna per reati di mafia.
Per l’indagine ci siamo soffermati sulle infiltrazioni mafiose nella massoneria solo in Calabria e Sicilia, ma riteniamo che un’inchiesta del genere debba riguardare tutto il Paese perché la massoneria e le mafie sono presenti ormai in tutta l’Italia. In questa nostra inchiesta abbiamo sperimentato la resistenza, in nome della privacy, da parte delle organizzazioni massoniche, che, in questo modo, non hanno offerto collaborazione. Appongono la questione della privacy, ma sono delle vere e proprie società segrete. Un dato allarmante, inoltre, è la presenza di appartenenti alle organizzazioni massoniche in persone con un ruolo dirigenziale nei Comuni e nelle Asl sciolti per mafia. Tutto questo è reso possibile anche dal regime di segretezza che è consentito alle organizzazioni massoniche. Occorre, perciò, intervenire sulla legge Spadolini-Anselmi del 1982 e pretendere soprattutto da chi riveste incarichi pubblici una dichiarazione sull’appartenenza ad altre realtà associative, soprattutto quando queste richiedono un giuramento».

Quali auspici per il 2018?

«Dobbiamo aspettare, innanzitutto, i risultati dell’imminente consultazione elettorale, ma sicuramente ci sono alcuni aspetti che necessitano d’interventi legislativi.
Uno riguarda la legge sullo scioglimento dei Comuni. È stato uno strumento preziosissimo, ma questa legge è stata pensata per piccole comunità, mentre oggi siamo arrivati a sciogliere e commissariare per mafia Reggio Calabria, Ostia e Comuni al Nord. Bisogna pensare che non tutti i Comuni sono uguali, quindi occorre una legislazione più flessibile. Poi è molto importante che si diano maggiori poteri, si chieda maggior impegno e presenza nelle comunità a chi fa il commissario di Comuni sciolti per mafia. Serve intervenire soprattutto nella pubblica amministrazione perché non viene contaminata dalla mafia solo la classe politica, ma anche funzionari e dirigenti; quindi, bisogna bonificare anche a questo livello. In alcune realtà è inutile mandare a casa un consiglio comunale senza poter intervenire sui dirigenti che magari presiedono punti chiave come l’urbanistica. Quando ci sono delle amministrazioni comunali che rischiano di essere compromesse, l’alternativa non può essere lo scioglimento o l’abbandono a se stesse: possono essere monitorate e accompagnate dalle prefetture senza delegittimare completamente la politica. Inoltre, bisognerebbe impedire che almeno per un certo numero di anni coloro che sono stati causa dello scioglimento si possano ricandidare. Infine,
bisogna formare una classe dirigente adeguata alla sfida costituita dalle mafie».

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