Le barche guadagnano la spiaggia, spinte dal vento che gonfia le piccole vele realizzate con teli di nylon recuperati chissà dove. Gli scafi sono poco più di un tronco scavato, indurito dalla salsedine. L’acqua caldissima invita a tuffarsi. È l’ora più calda del giorno, circa le 14. Narcielo, questo il nome di uno dei pescatori giunti a riva, è uscito in mare alle 2 del mattino. Sulla sua piccola barca ha affrontato le onde dell’oceano per molte ore di buio, ha visto il sole salire dal mare e illuminare la costa del Mozambico e la città di Beira. Oggi non ha pescato molto Narcielo, mostra solo un piccolo squalo. Ma potrà rifarsi il giorno dopo. E quello dopo ancora. «I pescatori trascorrono mesi in piccole capanne di paglia, durante il periodo della pesca. Non fanno altro per giorni e giorni: escono in mare, pescano, tornano a riva. Le loro mogli vivono in città. Ogni giorno gli portano da mangiare, raccolgono il pesce e lo portano a vendere. Se le mogli non possono, arriva sicuramente qualcun altro». Così racconta don Maurizio Bolzon, prete vicentino, missionario fidei donum nella Diocesi di Beira dal 2017.
Beira è una città che sembra a sua volta uscita dal mare. Come le onde sulla spiaggia durante l’alta marea, si allarga e cresce sempre di più. Antico approdo commerciale arabo, prima, poi portoghese, ancora oggi è la porta di ingresso all’entroterra africano per i commerci dall’Oriente. Non a caso la città si sta sviluppando ed espandendo lungo il “corridoio di Beira”, la lunga strada di oltre mille chilometri che collega il porto della città allo Zimbabwe, un’infrastruttura strategica rinnovata solo pochi anni fa da imprese cinesi e sulla quale transitano ogni mese 10 mila tonnellate di merci. Qui, lungo questa strada, la Diocesi ha acquistato il terreno per realizzare la nuova Cattedrale. «Seguiamo la città che si espande», commenta don Maurizio, mentre percorriamo il corridoio di Beira a bordo di un fuoristrada 4×4, unico mezzo che permette di viaggiare (quasi) senza pensieri per le strade della città.
«A Beira arrivano in continuazione sempre nuovi abitanti, che provengono dalle zone interne del Mozambico – spiega don Maurizio -. Questi acquistano un pezzetto di terra, dove si costruiscono un primo riparo, di paglia o in lamiera. Poi, se trovano da lavorare e riescono a mettere via qualche soldo, acquistano i mattoni in cemento e realizzano una casa più solida». A Beira non mancano edifici moderni, case di lusso o pregevoli palazzi di epoca coloniale (spesso fatiscenti ma sempre abitati). Ma di case come quelle descritte da don Maurizio ne vediamo migliaia. Basta imboccare una delle tante stradine che spuntano sulle strade principali e ci si ritrova immersi in un dedalo di piste in terra battuta circondate da casette di ogni forma e materiale, che si contendono lo spazio tra termitai e grandi alberi di mango. «Abitarci è un inferno – ammette don Maurizio -. Le case si scaldano, si dorme per terra e durante la stagione delle piogge, quando il terreno si allaga, ci si da il turno per dormire sulla tavola». In casa i mozambicani ci rimangono comunque poco. Questione di sopravvivenza: «Se vuoi vivere, devi darti da fare e inventarti qualcosa». Ecco allora le attività di micro commercio che spuntano ovunque. In sostanza, se hai qualcosa provi a venderla. Verdure, ortaggi, tessuti, pesce, copertoni, pali di legno di tutte le misure possibili, scarpe, vestiti, capulane (le coloratissime e decorate stoffe mozambicane, ndr), bevande, piante, attrezzi, carbone: tutto il commercio avviene lungo le strade, sulle quali si affacciano centinaia di bancarelle che vendono letteralmente qualsiasi cosa, oltre ad offrire servizi come saloni di bellezza e parrucchieri per donne e uomini o gettonatissimi servizi di telefonia e trasferimento di denaro. Attorno a queste bancarelle è tutto un brulicare incessante di persone: donne, uomini, giovani, bambini, bambine.
È questa la realtà in cui si trovano le tre parrocchie seguite da don Maurizio e da don Luca Trentin, giunto a Beira a gennaio di quest’anno come missionario fidei donum. I due vivono nella canonica della parrocchia di Santa Croce, progettata e costruita da don Maurizio a fianco del terreno dove, quando sarà possibile, sorgerà la nuova chiesa della parrocchia.
Nuove chiese sono anche quelle delle parrocchie dei Santi Angeli Custodi e di Ognissanti, realizzate dopo il ciclone Idai che nel 2019 ha distrutto e allagato la città, le prime chiese cattoliche consacrate a Beira da quando il Mozambico ha ottenuto l’indipendenza, nel 1975. La chiesa dei Santi Angeli Custodi è la parrocchia dell’aeroporto di Beira. Un buon viatico per i passeggeri che giungono e partono dal Mozambico. La visitiamo di sabato pomeriggio, durante un momento speciale: si stanno svolgendo gli esami di fine anno del catechismo. Un centinaio di bambini e bambine divisi in gruppi, con età che vanno dagli 8 ai 12 anni, rispondono alle domande su un foglio e poi vengono interrogati dai loro catechisti. Non c’è tensione o preoccupazione. Finché aspettano i bambini scherzano e sorridono ma vivono questo passaggio con impegno e serietà. Lo stesso impegno che mettono nel canto. Il giorno dopo, domenica, partecipiamo alla Messa nella parrocchia di Santa Croce. La celebrazione inizia alle 7.30. Tutti (o quasi) si presentano puntuali, una donna si occupa dell’accoglienza e accompagna le persone a sedersi. Una ventina di bambini siedono su alcune stuoie a fianco del presbiterio. Ogni tanto qualcuno di loro si alza ed esce, si prende una pausa e poi rientra. Anche loro sono accompagnati a vivere la celebrazione da una donna che fa loro segno quando è il momento di alzarsi e sedersi. La partecipazione è totale.
Nel canto, nella preghiera, nel corpo. Una partecipazione di popolo. Alla fine della messa c’è lo spazio degli avvisi, dei compleanni, del saluto ai visitatori. Si respira comunità, di più, una comunità felice di ritrovarsi e che nella domenica trova il senso del suo essere. Non solo per la messa: «Spesso alla domenica, finita la celebrazione, ne approfittiamo per fare le riunioni e organizzare le attività parrocchiali», spiega don Maurizio.
L’Africa è il continente dove i cattolici crescono più velocemente al mondo. Ci si chiede perché, visto che accanto alla Chiesa cattolica proliferano anche chiese pentecostali, moschee e culti di vario genere. Forse la risposta si trova sulla spiaggia dove i pescatori sistemano le reti. La brezza marina accarezza la sabbia, un uomo a passeggio sul bagnasciuga la chiama “alma de deus”, anima di Dio. C’è qualcosa di sacro nella precarietà di questi gesti quotidiani ripetuti per giorni e giorni, necessari per sopravvivere. «Quando guardo i pescatori – dice don Maurizio – mi rendo conto di dove Cristo è andato a chiamare i primi discepoli: tra persone che non sapevano niente del mondo e di Dio, che non pensavano ad altro che uscire in mare a pescare. Da qui vedi il Vangelo in modo diverso. E ti chiedi com’è possibile che la Parola incontri questo mondo. Eppure Gesù è partito da gente così. È questo che ci fa capire l’Africa».
di Andrea Frison – inviato in Mozambico
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