Da cinque anni molti migranti restano intrappolati dal gelo, dalle frontiere chiuse, dalle violenze delle polizie di frontiera all’interno dei campi, senza nessuna tutela della dignità.
Le notizie e le immagini delle ultime settimane che arrivano dalla Bosnia- Erzegovina fotografano un’emergenza umanitaria che si protrae da tempo in particolare a Lipa (zona di Bihac), ma non solo. Una situazione che mette in luce come alcuni Paesi, tra cui appunto la Bosnia-Erzegovina, non hanno ancora sviluppato una politica di gestione dei flussi migratori e un sistema di accoglienza che tuteli i diritti e la vita dei migranti.Da ben cinque anni molti migranti restano intrappolati dalla neve, dal gelo, dalle frontiere chiuse, dalle violenze delle polizie di frontiera, dai respingimenti e dall’ambiguità politica dell’Unione Europea che ha congelato i diritti di queste persone. Per raccontare e mantenere alta l’attenzione sul dramma dei migranti in Bosnia-Erzegovina le Caritas della Delegazione Nord-Est, ovvero del Friuli Venezia Giulia, del Trentino Alto Adige e del Veneto lunedì scorso hanno organizzato un incontro on line dal titolo “Diritti congelati”, un momento di riflessione e testimonianza su ciò che stanno subendo i migranti bloccati in Bosnia-Erzegovina. Per spiegare qual è la situazione, all’incontro hanno partecipato Laura Stopponi, responsabile dell’Ufficio Europa di Caritas Italiana e Silvia Maraone di IPSIA-Acli, coordinatrice di progetti a tutela dei rifugiati e richiedenti asilo lungo la rotta balcanica in Bosnia-Erzegovina e in Serbia.
«Nelle ultime settimane quello che sta accadendo a Lipa ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, ma in realtà sono anni che assistiamo a delle situazioni così drammatiche, come in Serbia e in Grecia – ha sottolineato Stopponi -. Nonostante siano ormai cinque anni che flussi migratori importanti si riversano sulla rotta balcanica non abbiamo visto strutturarsi delle politiche migratorie adeguate, con un’accoglienza dignitosa delle persone che ne riconosca i diritti umani basilari. C’è stata, invece, molta attenzione verso il tema della sicurezza e del confinamento dei migranti con lo scopo di non farli arrivare in Europa. Lipa è solo la punta dell’iceberg di tanti altri contesti emergenziali che troviamo non solo in Bosnia, ma anche in Serbia, in Grecia e in Albania. Situazioni in cui queste persone sostano per mesi in condizioni drammatiche in attesa di veder realizzato il loro sogno di arrivare in Europa».
A separare Bihac da Trieste sono 340 km percorribili in auto in circa 4 ore, ma per i migranti che tentano il “game” i tempi si dilatano in 2 o 3 settimane con il pericolo di essere fermati dalla polizia croata che li respinge verso la Bosnia praticando vere e proprie sevizie. «Oltre alla violazione del diritto alla libertà di movimento che costringe queste persone ad affrontare un viaggio drammatico a causa del non-potere del loro passaporto, siamo di fronte a delle gravi violazioni dei diritti umani con episodi sistematici di tortura che in un contesto come l’Unione Europea non dovrebbero essere ammessi » ha aggiunto Maraone. Dal 2018 a oggi sono 70mila le persone che sono transitate in Bosnia, dove le strutture di accoglienza oggi sono al collasso, sovraffollate e senza i minimi standard igienico-sanitari.
Attualmente delle circa 9mila persone in transito presenti in Bosnia e Erzegovina, solamente 5.500 hanno trovato una sistemazione all’interno dei campi profughi ufficiali mentre oltre 3mila persone sono costrette a dormire in sistemazioni improvvisate, come case ed edifici abbandonati, baracche, fabbriche dismesse. Il governo bosniaco non riesce a far altro che organizzare di tanto in tanto veri e propri “rastrellamenti” di migranti nelle sistemazioni improvvisate, confinandoli forzatamente all’interno dei campi. Molte le denunce riguardo la scarsità di alimenti, il sovraffollamento, le condizioni sanitarie, le violenze dentro i campi stessi.
Oltre a Lipa, destano moltissime preoccupazioni le condizioni degli accampamenti informali sia a Bihac sia a Sarajevo, dove manca qualsiasi forma di assistenza e protezione da parte delle autorità. Purtroppo la situazione non è migliore nei campi di accoglienza ufficiali, dove mancano gli standard minimi per una accoglienza dignitosa e sicura. Per far fronte a questa situazione, che non dovrebbe esser affrontata solo come un’emergenza ma attraverso politiche di lungo periodo, Caritas Italiana e Ipsia lavorano quotidianamente con le Caritas e le piccole organizzazioni locali per promuovere modalità di accoglienza differente che mettano al centro le relazioni.
«Quello che sta succedendo lungo la rotta balcanica è frutto di decisioni sbagliate, che costringono migliaia di persone in condizioni disumane. Il modo migliore per aiutare è quello di informarsi e informare per sensibilizzare e chiedere come cittadini europei un cambiamento – concludono Stopponi e Maraone -. È molto prezioso poi il sostegno economico agli interventi di associazioni riconosciute che lavorano in loco da anni».

