La dimensione di popolo così come viene delineandosi nell’enciclica ‘Fratelli tutti’ incrocia fortemente il suo valore politico, ma interpella direttamente anche la comunità cristiana nel suo vivere l’esperienza di popolo di Dio. Su questi aspetti abbiamo sentito l’esperienza di Ernesto Preziosi, già vicepresidente nazionale dell’Azione cattolica, parlamentare nella scorsa legislatura, storico e Presidente del Centro studi storici e sociali (Censes).
«La mia esperienza di popolo – racconta – è fin da ragazzo radicata nell’esperienza parrochiale. La dimensione parrochiale è una dimensione di popolo e ce ne rendevamo conto anche in quella fase difficile tra gli anni ’60 e gli anni ’70: in parrocchia incontravi tutte le categorie sociali. Incontravi la persona altoborghese, come pure l’operaio o il contadino. C’era poi la diversità dell’età . C’erano poi gli uomini e c’erano anche le donne magari, in quegli anni lontani, collocati in posti diversi, separati tra loro come era l’abitudine allora. Quella dimensione di popolo – commenta – mi ha accompagnato tutta la vita». Questa sperienza gli ha permesso di rendersi conto che «l’espressione che noi usiamo ‘popolo di Dio’ non è indicativa di una realtà separata dal resto, ma è una parte del popolo. È importantissimo che non separiamo mai le due esperienze».
Cosa ha significato, sotto questo profilo, a un certo punto della sua vita ritrovarsi rappresentante del popolo in Parlamento?
«Quando sono stato eletto in Parlamento, avevo chiaro che, pur essendo un cattolico impegnato, non ero lì a rappresentare i cattolici. Ero lì a rappresentare tutto il popolo. È decisivo coltivare questa idea del popolo più largo rispetto al ‘popolo piccolo’ di cui si è parte. E questo ha delle conseguenze ».
Quali?
«Questa idea di popolo ti porta inevitabilmente a occuparti di chi è meno privilegiato, di chi ha più bisogno riuscendo a cogliere le diverse necessità . È molto bello quando nella Fratelli tutti il Papa fa l’esempio che c’è uno che può aiutarti ad attraversare il ponte e c’è chi può aiutarti a costruire il ponte. Ecco: la politica è costruire il ponte, progettare qualcosa che in prospettiva può eliminare le cause, per esempio della ricchezza non distribuita equamente ».
Il populismo non promuove il popolo. Perché?
«Il Papa nell’enciclica mette in guardia e distingue tra l’idea di popolo e quella del populismo, tra un idea di un popolo che coglie gli elementi di correlazione e fraternità profonda e invece quello che lui chiama il disprezzo per i deboli che si nasconde dietro a forme populistiche. Questo è l’uso demagogico dell’idea di popolo, deviazioni che ne strumentalizzano l’idea».
Come è cambiata l’esperienza di Chiesa di popolo e cosa resta oggi?
«Personalmente ho sempre vissuto l’esperienzadell’associazionismo che è un esempio, in particolare per me l’Azione cattolica, di come si possa vivere tra generazioni e con condizioni di vita diverse. La realtà associativa è, all’interno del popolo di Dio, un segno del popolo più grande. La crisi dell’associazionismo haindebolito il tessuto popolare delle parrocchie e delle nostre diocesi. Ritengo che la crisi dell’associazionismo, soprattutto quello di base democratica,abbia indebolito la trama popolaredelle nostre comunità  e questo perché la dimensione popolare porta sempre con sé una dimensione democratica » .
Quali sono i rischi se viene meno questa esperienza di popolo nella Chiesa?
«Se nella Chiesa facciamo venire meno questa dimensione popolare e ci limitiamo a piccoli gruppi, autoreferenziali che magari fanno anche un cammino di fede esigente, ma lo fanno solo tra loro, tutto questo fa venire meno quella cinghia di trasmissione che mette nella realtà originaria della Chiesa quella popolarità grande e fondamentale che ha due valenze: una di coinvolgimento pieno delle persone che ci sono e l’altra di apertura e di inclusione verso chi non c’è».