«Questo è stato un anno travagliato. Ma la Chiesa, con il Giubileo, è stata una piccola luce. E non credo al pericolo di una reale divisione tra i cattolici. Quella è una lettura che viene dall’esterno. Da chi vuole trarne un vantaggio politico o di altro genere». Incontriamo il vescovo Giuliano a pochi giorni dall’inizio del pellegrinaggio diocesano a Roma. Il punto di partenza è l’assemblea diocesana dello scorso 20 settembre, che ha dato il calcio d’inizio al nuovo anno pastorale, senza nascondere le difficoltà del cammino sinodale diocesano.
Don Giuliano, che impressione ha avuto dell’assemblea?
«Sono rimasto contento. L’assemblea voleva essere un’occasione affinché le diverse realtà della Chiesa diocesana potessero incontrarsi e condividere la riflessione che stiamo offrendo attraverso il cammino sinodale, che ha un impatto sulle unità pastorali e sulla riforma generale della vita ecclesiale. Sono intervenute circa quattrocento persone, una bella rappresentanza che includeva consacrati, rappresentanti di realtà associative e movimenti e l’espressione delle nostre parrocchie e unità pastorali».
Non ha nascosto le difficoltà emerse dopo l’assemblea diocesana di Schio, che hanno portato alle dimissioni dei cinque giovani coordinatori del cammino sinodale. Perché questa rottura?
«Il percorso fatto finora è il risultato del confronto tra il gruppo dei coordinatori e il laboratorio pastorale diocesano. Ne è emerso un bel lavoro, ma anche delle difficoltà relative allo “sguardo sulla realtà” e alla capacità di comprendersi con un linguaggio ecclesiale condiviso. I coordinatori portavano spunti emersi dal lavoro nei vicariati e spingevano per una presenza più consistente dei giovani nelle realtà parrocchiali e pastorali, in un cammino in cui noi adulti ci mettiamo in ascolto. Il meccanismo si è inceppato perché il laboratorio pastorale non aveva indirizzi sufficientemente condivisi, e i coordinatori si sono trovati disorientati, non vedendo le condizioni per continuare con il loro lavoro».
Come proseguirà ora il cammino?
«Il percorso che riguarda le unità pastorali è stato spostato in avanti. La formazione dei consigli pastorali unitari verrà avviata probabilmente nella seconda parte dell’anno, e dovrà avvenire con un processo di partecipazione delle comunità. Inoltre, l’assemblea ci ha dato un orientamento chiaro: la stragrande maggioranza ha chiesto di partire dalla questione dei giovani e di come riprendere il percorso con loro. Vogliamo capire come continuare il cammino anche con il contributo dei più giovani. Affronteremo questo tema con il Consiglio Pastorale Diocesano».
Questo fine settimana si svolge il pellegrinaggio diocesano a Roma, in concomitanza con il Giubileo dei catechisti. Che significato avete voluto dare a questo appuntamento?
«Saremo ottocento persone, una partecipazione che mi rende molto contento. Gli iscritti sono espressione di tutte le realtà della nostra diocesi, con adesioni da ogni vicariato, una rappresentanza dell’Unitalsi con degli ammalati e il coro della cattedrale. Il Giubileo dei catechisti ci ricorda che abbiamo la necessità di un rinnovato annuncio del Vangelo che parta dalla presenza degli adulti. In Diocesi non abbiamo ancora istituito il ministero del catechista perché vorremmo precisare meglio questa figura, affidandole un compito di accompagnamento delle comunità, come si vede nelle zone di missione. La commissione dei ministeri istituiti sta lavorando su questo».
Come le sembra che sia stato vissuto finora l’anno giubilare in Diocesi?
«Mi sembra di cogliere esperienze positive dalle chiese giubilari, c’è stata una grande partecipazione di fedeli sia a livello personale che di comunità cristiane, associazioni e movimenti. Credo che sia stato un tempo di grazia per le nostre comunità. Non dimentichiamo che questo è stato un anno travagliato. È morto papa Francesco ed è stato eletto papa Leone, ma anche dal punto di vista geopolitico, con l’insediamento di Trump, c’è stato grande scompiglio. Le guerre non sono rallentate, anzi, pensiamo a Gaza, all’Ucraina, al Sudan, al Congo. Il panorama che abbiamo davanti è molto triste. Eppure, dentro a questo scompiglio generale, una parola di speranza il Giubileo l’ha voluta sostenere. Credo che per molte persone la Chiesa sia una sorta di piccola luce in questo tempo».
Secondo lei esiste il rischio che il mondo cattolico esca diviso da questo passaggio storico?
«A me sembra che sia prevalentemente il mondo politico che spinge verso una divisione. All’interno, tutto riconduce a tenere unita la rete della comunione. Starei molto attento a dare credito a letture che provengono prevalentemente dall’esterno. Non percepisco una polarizzazione così forte tra cattolici. Ho la percezione che questa farebbe comodo a chi vuole portare a casa voti o interessi di altro tipo. Anche per questo stiamo dialogando sempre di più con le altre religioni per vivere cammini condivisi che siano espressione delle nostre identità e non di rappresentazioni politiche».
È parere di molti che la prima preoccupazione di papa Leone sia quella di tenere unita la Chiesa. Che cosa ne pensa?
«È un compito che fa parte della natura stessa del ministero petrino, ma anche di quello dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi. Io penso che anche il pontificato di Francesco abbia voluto mantenere l’unità della Chiesa. La vera questione è mantenere la Chiesa unita nel costante cammino di riforma della Chiesa stessa. Il Vangelo è una realtà viva, che richiede conversioni continue alla luce delle vicende del mondo e della cultura di oggi. Ci chiede di rinnovare le strutture, per renderle più adeguate ad essere espressione del Vangelo e meno dell’istituzione. Papa Francesco ha dato un grande impulso con Evangelii Gaudium e con tanti segni che ha voluto porre con la sua testimonianza. Papa Leone ha lo stesso obiettivo. Tant’è che nel suo primo intervento ha “sposato” i passi fondamentali di Evangelii Gaudium. Anche lui sente come sua missione la riforma costante della vita ecclesiale e la preoccupazione che il gregge non si disperda».
Andrea Frison
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