In fila alla cassa del supermercato un giovane sulla trentina saluta con trasporto un’anziana dalla schiena ricurva: “Buongiorno, signora! Si ricorda di me? Sono ****, amico di suo nipote ****, ci preparava sempre la merenda quando eravamo alle medie! Come sta ****? Me lo saluti!” La donna, in tenta a mettere la spesa nella borsa risponde senza alzare lo sguardo: “Sarà un anno che non lo vedo, mio nipote… ma sai, ha tanto da lavorare…”.
Un dialogo che voleva essere gioioso alza il velo su una situazione di solitudine e tristezza. Situazione che è probabilmente meno infrequente di quanto si creda. Quanti nonni hanno dedicato tempo e risorse alla cura di nipoti che poi, raggiunta l’età matura, “hanno tanto da lavorare”? Eppure, come in questo caso, continuano magari a giustificarli, a vedere il bene che c’è in loro, forse anche per non ammettere la propria amarezza e delusione. I più saggi e altruisti, pensando alla propria giovinezza, si ripetono che in fondo è normale che sia così, che quando si è giovani si spicca il volo e non si pensa ai vecchi, ma solo alla propria vita, ai propri progetti. Ma resta comunque un senso di vuoto, una nostalgia, un sentimento di inutilità e di abbandono che basterebbe qualche breve visita o anche solo una telefonata di tanto in tanto ad alleviare.
Nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani che si celebra questa domenica in prossimità della festa dei Santi Gioacchino ed Anna, i nonni di Gesù, papa Leone ci invita a vivere il Giubileo facendone per le persone anziane un’esperienza di “liberazione dalla solitudine e dall’abbandono”. Nell’indire l’Anno Santo della Speranza, papa Francesco aveva deciso di concedere la stessa indulgenza riservata ai pellegrini che si recano nelle grandi basiliche giubilari a chi “visita per un congruo tempo gli anziani in solitudine, quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro”. Uno sguardo di fede sul prossimo sofferente o bisognoso (in questo caso l’anziano solo) che attraversa tutto il Vangelo, dall’incarnazione del Figlio di Dio al giudizio finale (“lo avete fatto a me”) passando per le Beatitudini e il Buon Samaritano, e che tuttavia rischia di perdersi perché “la gente oggi – come ha recentemente sottolinea to il filosofo Massimo Cacciari – il Vangelo non lo ascolta più e se il Vangelo non è più il centro, le periferie non hanno più senso, non trovano più attenzione”. E così, privata del salvifico correttivo, l’esaltazione del sentimento individuale rischia di trasformarsi nella tirannia dell’indifferenza. Eppure sbaglieremmo se considerassimo le persone anziane solo come possibili destinatari di cure e di attenzione. Come lo stesso Messaggio del Papa ricorda, gli anziani sono anche “maestri di speranza e di amore” per le generazioni più giovani: per quanto di buono hanno dato e costruito nel loro passato, ma anche per come molti di loro continuano a vivere il loro presente e a guardare al futuro.
Tre giovani artisti palestinesi stanno portando in varie città italiane in queste settimane un intenso spettacolo dal titolo “Parlami di Gaza”. Fotografie, letture e suoni che tentano di restituire l’esperienza dolorosissima di un territorio e di un popolo devastati dalla guerra. Una delle immagini più commoventi del fotografo e infermiere Ahmed Jarboa è quella che ritrae una donna anziana (sua nonna) che nel mezzo di una città distrutta si prende cura di alcuni vasi di piante. Una fotografia che diventa un simbolo potente di resilienza, di fiducia nel futuro, di cura della vita an che quando tutto ti farebbe credere che non ne valga più la pena. Anziani, per favore, continuate ad innaffi are le vostre piante. Giovani dedicate tempo ai vostri nonni se ancora li avete, o fatevi nipoti di qualche anziano solo. Finché c’è tempo. Per non avere rimpianti, ma soprattutto per ridare umanità alla nostra vita di ogni giorno!
Alessio Giovanni Graziani, donalessio@lavocedeiberici.it
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