È stato difficile non interessarsi e non emozionarsi per i 12 ragazzi thailandesi rimasti per più di due settimane in una grotta in Thailandia con il loro giovane allenatore. Dopo che il 23 giugno erano scesi nella grotta di Tham Luang, erano rimasti intrappolati a causa di abbondanti piogge. Solo il 2 luglio, dopo molte ricerche, sono stati trovati vivi e da lì è cominciata la difficile operazione di recupero, conclusa felicemente il 10 luglio con il recupero di tutti i ragazzi e dell’allenatore. Durante le manovre di soccorso, nel frattempo, aveva perso la vita uno dei sommozzatori.
Quasi tutto bene dunque, anche grazie a un’organizzazione internazionale che ha messo in campo le migliori competenze disponibili. La particolarità della vicenda, la sua durata, il coinvolgimento di un gruppo di ragazzi (una squadra), la capacità di resistenza, l’efficienza organizzativa… Tutto ha contribuito a concentrare sulla vicenda un’attenzione mediatica planetaria, con le principali testate che hanno mandato in Thailandia (non proprio dietro l’angolo) i propri inviati.
È la potenza dei media in un villaggio globale, in cui quello che accade in Thailandia può essere reso come stesse avvenendo nella contrada accanto.
Di questo non possiamo non compiacerci per un attimo. Sì, solo per un attimo perché non possiamo non riconoscervi anche il cinismo e la spietatezza dei media che selezionano le notizie da dare, da seguire e da approfondire poche volte in base a criteri di umanità e il più delle volte in nome dell’audience e di interessi economici.
Nel gioire per i dodici piccoli calciatori tratti in salvo con il loro allenatore, ci tornano alla mente le centinaia di bambini e ragazzi in mezzo alle onde del Mediterraneo, con la speranza di riuscire a toccare una terra, che non sia troppo nemica.
Don Ciotti e Libera hanno lanciato per domenica scorsa l’iniziativa di una maglia rossa per fermare “l’emorragia di umanità”, ricordando che il rosso è il colore di molti bambini annegati. Anche su questo i media nostrani sono riusciti a creare polemiche, rischiando di perdere di vista queste giovani vite, che senza nessuna colpa trovano troppo spesso la loro tomba in fondo al mare.
Della stragrande maggioranza di questi bambini non conosceremo mai i nomi, non vedremo mai i volti, non coglieremo mai un timido sorriso. Per loro non ci saranno troupe televisive e servizi televisivi speciali.
Due pesi e due misure di una informazione che fa fatica a contribuire ad arrestare l’emorragia di umanità.
