«Questo disegno di legge è un po’ come un ordine di guidare con un occhio solo». Il ddl Valditara, se passerà, interesserà ovviamente anche le scuole paritarie cattoliche di ogni ordine e grado, comprese le medie di Montecchio Maggiore dei Giuseppini del Murialdo, la “Leone XIII”, scuola con 130 studenti maschi e femmine. La dirigente scolastica Valentina Baldan è sconfortata da quelle che potranno essere le conseguenze della norma: «Questa limitazione mi preoccupa come dirigente scolastico, ma anche come genitore – avverte –. Mi importa che mio figlio sia un ragazzino che sa accettare i “no” e che mia figlia sia al sicuro vicino a un compagno maschio».
Come si svolge l’educazione affettivo-sessuale nel vostro istituto?
«Viene portata avanti, da anni, un’educazione all’affettività per la quale chiediamo un apporto di esterni. Solitamente trattiamo l’educazione all’affettività nella seconda parte dell’anno delle seconde, in cui si parla in scienze dell’apparato riproduttivo.
L’insegnante di riferimento collabora. Viene fatto un lavoro molto ampio, anche per disarmare i linguaggi e formarli. I nostri ragazzi e ragazze sono in una fascia d’età in cui vivono un grandissimo cambiamento: lo vediamo alla fine del triennio, quando mostriamo un video di loro all’inizio e negli ultimi giorni.
Anche in questa età, una parola a volte ferisce più di un’azione e i cambiamenti spaventano: impedire di parlarne, in un luogo come la scuola, in cui passano così tante ore, è sbagliato.
Sono rimasta male leggendo il testo del ddl: non so cosa pensi il governo su quel che viene fatto o non fatto nelle scuole. Forse Valditara non è mai entrato in classe e non ha mai parlato con noi insegnanti».

Il divieto è inteso al perimetro della sessualità.
«Non è saggio e limita la nostra possibilità di fare scuola. Perché non dovremmo parlare delle malattie sessuali? Esistono. L’identità di genere è un argomento che c’è ed è sempre stato trattato. Diventa pericoloso se diventa un tabù: tutto diventa pericoloso se diventa un tabù. I ragazzi hanno bisogno di vedere, capire e parlare. E certe volte fanno ragionamenti stupendi, oltretutto. È sempre meglio accompagnarli: quello che gli vietiamo, la proibizione, inevitabilmente attira di più».
Cosa pensa del divieto all’apporto di professionisti esterni?
«Ritengo che ogni figura abbia la sua peculiarità, la professionalità per cui ha studiato. Un insegnante non può essere un tuttologo: quello di scienze o di italiano non può fare anche il pedagogista, lo psicologo, il sessuologo.
Magari è inteso in un’ottica di risparmio o per timore di chi possa entrare a scuola, ma io so come lavora il mio istituto e so che gli insegnanti non sono persone stolte.
Ogni progetto richiede molte ore di lavoro preparatorio, in collaborazione tra più docenti. Se viene un esterno a parlare, sappiamo chi è. Questa idea che l’insegnante debba sapere fare tutto è pericolosissima: chi pensa di fare bene tutto, non sa fare niente».
Quali modifiche dovrete apportare, se passa la norma?
«In realtà il divieto è solo parziale: proibisce la parte che ha a che fare con le malattie sessualmente trasmissibili, l’igiene e la contraccezione. Che noi trattiamo, pur essendo scuola cattolica.
In realtà non è che l’educazione all’affettività parli esattamente di questo, o meglio, è solo una parte degli argomenti. È molto più importante, e approfondito, il tema del consenso e del rispetto».
Qual è il valore e l’importanza di questi aspetti?
«Quello che non si conosce spaventa. Trattiamo le conseguenze che può avere il rapporto sessuale, ma anche il tema del consenso è essenziale. Non si limita al bacio o alla carezza, e si estende all’educazione civica, perché anche solo il fatto di toccare i materiali dei compagni è questione di consenso.
Il “no” è difficile da accettare, per i ragazzini di oggi. Questa limitazione mi preoccupa anche come genitore».
Il testo del ddl rimanda appunto al consenso da parte dei genitori.
«Tuttavia, se una volta l’educazione poteva essere demandata ai genitori, che passavano molto tempo a casa coi ragazzi, oggi non è più così: gli studenti passano assai più ore a scuola rispetto anche a pochi anni fa.
Oggi, nelle elementari e medie, due classi su tre propongono il tempo potenziato. La parte del decreto che prevede l’attività educativa delegata alla famiglia dovrebbe essere demandata alla scuola.
È un grave errore limitare la libertà scolastica: se il ragazzo non viene educato a scuola, si rifugia nei social, dove può trovare esempi positivi come negativi. È pericoloso, diventa una variabile impazzita».
Andrea Alba
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