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Home Fratelli Tutti Cura

Coltivare la vocazione del custodire

10 Febbraio 2021
in Cura
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Coltivare la vocazione del custodire

Sono un Volontario che ha offerto aiuto sin dai primi giorni della pandemia e cioè da marzo 2020 aderendo al progetto “Il Tempo della Gentilezza” frutto della collaborazione tra Croce Rossa Italiana e Cittadinanzattiva. Nella realtà bassanese hanno aderito e lavorato (consegnando farmaci comuni  e antivirali, borse spesa e trasporti, fornitura di ausili ed esami a domicilio) nella prima fase dell’infezione 332 Volontari oltre a quelli della Caritas Protezione Civile, Donatori di Sangue. I Volontari, come credo anche i sanitari che ho incontrato, hanno maturato una sensibilità, una maturità, la vocazione del custodire, del prendersi cura e aiutare; caratteristiche queste che non riguardano solamente i credenti. È capitato di pensare spesso alla frase di Gesù: “Fa questo e vivrai”. Fa’, cioè agisci in questo modo. Non è il sapere che ti salva, ma il fare. Sapere può essere abbastanza facile. È il fare che molte volte è difficile e costa sacrificio. Ti trovi a rapportarti  con “Un uomo”: chi sia o non sia non ha importanza; non è detto chi fosse o facesse; senza etichette e senza qualifiche particolari. Un uomo e basta. Un uomo; ogni essere umano.

Ricordo la difficoltà e l’ansia di un medico in corsia della terapia intensiva di Santorso coperto da cuffia, mascherina, visiera, tuta, guanti, occhiali, copri scarpe: la sua preoccupazione era di portare l’infezione a casa dove oltre alla giovane moglie aveva un bimbo di pochi mesi; sorrideva ai suoi pazienti, li incoraggiava, deviava i discorsi quando scivolavano verso la paura o l’angoscia; incitava ad impiegare ogni risorsa fisica per respirare meglio e sollevava la sofferenza incrementando l’ossigeno o correggendo la terapia e nel momento di pausa una chiamata a casa per sentire i primi monosillabi del suo bambino.

Penso a Maddalena che ha trascorso 20 giorni  tra rianimazione, terapia intensiva e poi in quarantena all’albergo Covid. Era angosciata dalla paura di non respirare, diceva che non dormiva per paura di morire soffocata mentre dormiva. Ogni sera ad inizio del turno della notte trascorreva del tempo in una lunga telefonata che voleva non terminasse mai e lungo la quale raccontava la sua esperienza: gli occhi fuori dalle orbite, il respiro a gradini che inspirando all’improvviso sembrava che l’aria si bloccasse, ecc…  Così tutte le sere. 

Noi conoscevamo ormai la storia in ogni particolare, ma bastava, per chiudere, dire: «Maddalena, sono qui apposta per vegliare su di Lei, non tema, riposi che tutto è sotto controllo, non abbia paura!». Non scordo Silvia, una giovane signora in attesa del suo primo figlio. Il suo pensiero era uno solo e lo ripeteva all’infinito: «Dimmi, mentre non respiravo, anche il mio bambino non respirava? Le cure che ho fatto, hanno fatto male al mio bambino? Come nascerà il mio bambino?» Penso all’infermiera che senza più energie alla decima ora di servizio ancora sorride e stringe le mani di un paziente sotto casco che si sente smarrito e gli dice «Arrivederci Antonio perché domani certo ci vediamo e sarà meglio di oggi!».

Sono triste per Gian Mario trovato deceduto, solo, in casa supino su un vecchio divano con accanto la compagnia del suo cane; era così da diversi giorni, ma nessuno si era accorto di lui; aveva solo poco più di 50 anni trascorsi ultimamente solo col suo cane. Non posso tralasciare il coraggio del cappellano ospedaliero di Bassano che insiste verso la Direzione e ottiene di poter portare il conforto religioso nei reparti Covid a proprio rischio, e si veste con tutte le protezioni previste e trascorre la giornata tra i malati facendosi portatore di notizie tra questi e i loro famigliari che non possono vedere. Così si segue l’indicazione che Gesù ci dà nella parabola del Buon Samaritano. Sono esempi reali, utili a far tesoro di un’esperienza che  non possiamo e non dobbiamo dimenticare,  perché  ci può aiutare a guardarci dentro, migliorarci e comprendere che non possiamo continuare a pensare a noi stessi. È come se Gesù ci dicesse:” Ho bisogno di te; ho bisogno delle tue braccia; ho bisogno del tuo cuore”,  per realizzare il mio universale progetto. 

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