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Home Editoriali

Cattolici e politica, un rapporto da ridefinire

15 Febbraio 2019
in Editoriali
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Da 25 anni (dalle elezioni del 1994) i cattolici italiani vivono l’esperienza del pluralismo politico. Prima questa non era questione all’ordine del giorno: la stragrande maggioranza di loro, per molto tempo anche su esplicita indicazione di pastori e dietro minaccia di scomunica nel caso di voto diverso, ha continuato a votare Dc.

Dal Concilio Vaticano II il pluralismo politico tra i cattolici è riconosciuto come un valore positivo: la stessa fede può animare progetti politici diversi. Da quanto ci è dato vedere occorre riconoscere che tale consapevolezza non si è però ancora tradotta pienamente in una prassi proficua per le nostre parrocchie e per il Paese. La sensazione è, infatti, che questo pluralismo non sia stato ancora assunto in modo maturo a livello ecclesiale, e questo soprattutto per la preoccupazione di trasferire nelle chiese locali le conflittualità politiche, e le conseguenti probabili lacerazioni. E così, spesso, si preferisce tacere, anche a rischio di diventare, insignificanti e persino ‘sale insipido’.

Non è un caso, dunque, che da più parti, nelle nostre realtà ecclesiali, si esprima (si vedano le lettere pubblicate in questo numero) l’esigenza di un passo in avanti per vivere in modo più maturo tale pluralismo. Questa è anche la condizione per una più autentica testimonianza cristiana nella realtà, vissuta in maniera credibile tra parzialità della politica e radicalità del Vangelo. Si tratta, dunque, di trovare modalità, luoghi e strumenti per dire parole significative che diventino anche segno di testimonianza e che si accompagnino alle tante azioni di impegno verso altri uomini e donne che molti credenti vivono quotidianamente.

Per questo occorre avere presenti alcune condizioni preliminari, fondamentali ma non scontate. Si deve essere, innanzitutto, consapevoli che si sta “maneggiando” una materia parziale perché frutto della storia, molto spesso complicata, che ci interpella, chiedendoci però di preservare la comunione ecclesiale. Tale comunione, infatti, rimane un valore fondamentale, dal quale dipende anche la nostra testimonianza nel mondo. Ma quale comunione? Certamente non quella che punta all’unanimismo, ma neanche quella che si impone a colpi di maggioranza. Vivere la

comunione significa chiarire progressivamente e continuamente l’essenziale della fede che ci unisce e che va ogni volta declinato nelle diverse situazioni che la vita ci pone di fronte. La ricerca del consenso nelle questioni politiche non dovrebbe, peraltro, mai piegare la comunione a interessi di parte. Comunione e consenso stanno su due piani diversi che non possono andar confusi.

È necessario poi riconoscere i soggetti coinvolti e, anche qui, non far confusione. La comunione riguarda la comunità nel suo insieme, l’impegno politico – partitico è, invece, dei singoli che vivono nella comunità ma che non possono coinvolgere la stessa nella scelta specifica, anche se con la comunità dovrebbero riuscire a confrontarsi. In tal senso ci sono ruoli che non possono sommarsi: non posso, per esempio, essere moderatore di un consiglio pastorale e al contempo sostenere un partito: o faccio una cosa o faccio l’altra. Non si aiuta, poi, la comunione incitando le rispettive tifoserie. Nel costruire la comunione prevale la ricerca di ciò che ci unisce piuttosto di ciò che divide. Per questo la realtà ecclesiali, per rimanere credibile, deve intervenire nel merito delle questioni e non a partire dagli schieramenti.

La nuova stagione politica dei cattolici chiede, dunque, capacità di dibattito tra posizioni diverse senza che questo inebolisca l’unità nella Chiesa. Come settimanale siamo impegnati da tempo su questo fronte e continueremo ad esserlo.

È una sfida, per i credenti, certo non facile, ma oggi ineludibile che chiede al contempo coraggio e prudenza, e l’accortezza di non farsi strumentalizzare. Mai e da nessuno. Ne pagherebbe il prezzo più alto la testimonianza al Vangelo.

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