Nuove unità pastorali che nascono ed altre che si allargano. Prosegue anche con l’ultimo decreto del Vescovo sugli avvicendamenti del clero vicentino il cammino della Chiesa diocesana, «confermando la scelta di unire più parrocchie, come espresso al punto 11 degli Orientamenti circa le unità pastorali. La nuova “forma ecclesiale che lì viene prospettata non è lontana: sono ancora 39 le parrocchie che non fanno parte di una unità pastorale. Il passo successivo, saranno nuove aggregazioni». A parlare è don Lorenzo Zaupa, vicario generale della Diocesi di Vicenza.
Don Zaupa, come vengono vissute queste giornate di cambiamento per le comunità e per i singoli preti?
«Con un certo affanno per far sì che avvengano in modo sereno. Occorre accompagnare i presbiteri più anziani in modo che possano continuare a dare il loro contributo pastorale e si sentano così ancora utili».
La scelta delle unità pastorali è ad uno stadio “avanzato”, eppure in certe situazionifaticosa da accettare. Quali sono i suoi vantaggi?
«Quello delle unità pastorali è un cammino lungo, iniziato già dai primi anni ’90. L’Up offre un “di più” di possibilità, di qualità, di modalità di essere sul territorio. Diventa un “di meno” quando si pensa: “non ci sono più preti, rassegniamoci e raggruppiamoci”. Chi la pensa così travisa il senso e lo stile dell’unità pastorale».
È necessario del tempo per coglierne le potenzialità?
«Certamente, almeno 3-5 anni. Le unità pastorali più “vecchie” come Valli di Fimon, Alta Valle del Chiampo e Val Liona, hanno scoperto una modalità che è diventata ricchezza. “Non torneremmo mai indietro”, dice chi abita quelle realtà. Quando ti apri al territorio, ai vicini, respiri aria nuova, un confronto arricchente e soprattutto, si trova forza per rinnovarsi. Insistere troppo sulla propria tradizione diventa asfissiante, blocca il futuro».
Come suggerisce ai laici di vivere questi cambiamenti?
«Un attaccamento buono ai preti è un bel segnale, vuol dire hanno fatto bene e per questo ringraziamo il Signore. A volte, però, questa possessività non tiene conto che noipreti siamo a servizio della diocesi: c’è un bene della Chiesa vicentina che esige qualche cambiamento. In generale, però, vedo che l’alternanza è apprezzata. Inoltre, preti meno radicati obbligano le comunità e gli organismi pastorali a crescere».
Come devono “attrezzarsi” le parrocchie che iniziano un cammino verso l’unità pastorale?
«Crescendo nella consapevolezza che una comunità dipende dalla ministerialità diffusa: le comunità devono risvegliare le doti che ci sono nelle persone e trovare risposte nuove per quelle esigenze che non devono essere svolte necessariamente da un prete».
Ha qualche esempio?
«Gli animatori di comunità, selezionati da Pastorale giovanile, Noi Associazione e Caritas, che andranno a seguire dieci oratori della diocesi, sono un modello da imitare. Vanno trovate forme nuove forme di servizio per dire che la comunità è viva».
E i preti? Con che spirito suggerisce di vivere questi momenti?
«Per noi preti è una fase critica. La situazione è molto diversa rispetto al passato. Siamo bombardati da chi vive di nostalgie e dalla mole di lavoro. È un tensione snervante. Però noi preti, in questo tempo, dobbiamo stringere i denti: stiamo preparando un futuro nuovo e sopportabile per i nostri confratelli più giovani. Se non facciamo questo sforzo adesso, nel proporre uno stile ecclesiale diverso, poveri loro».
Concludendo, che volto di Chiesa locale esprimono questi avvicendamenti?
«Il volto di una Chiesa che vive in comunione, al di là delle parrocchie, di comunità aperte al mondo. Un volto più missionario, attento a quello che accade alla gente. Una Chiesa a servizio del territorio, capace di dare più qualità umana alla vita. Un volto di Chiesa popolo di Dio più che centrata sui preti».

