Quante sono le vittime di Castel d’Azzano? Certamente i tre carabinieri morti nell’adempiere il loro dovere. Forse non eroi, ma di certo, come è stato detto in occasione dei loro funerali, fedeli servitori dello Stato. In quella responsabile e generosa fedeltà al quotidiano e ai propri compiti che rende possibile la vita sociale e che troppo spesso oggi non viene invece adeguatamente riconosciuta. Probabilmente rendere esecutivo uno sfratto, magari a beneficio di una banca, non è l’operazione a cui un militare, che ha indossato la divisa sentendosi vocato al bene comune e alla sicurezza dei cittadini, compie con maggior convinzione ed entusiasmo. E questo rende ancor più assurde e inaccettabili queste morti in servizio, perché avvenute non nella lotta alla criminalità organizzata o nel difendere i più fragili, ma nel far valere il diritto di chi comunque già è forte e nel tentativo estremo di ricondurre a ragione e nella legalità tre anime disperate.
Senza alcuna giustificazione per quanto hanno fatto e dovranno espiare, mossi solo da sentimenti di umana e cristiana pietà ci vien da dire che tra le vittime di Castel d’Azzano ci sono, in modo diverso, anche loro, i tre fratelli agricoltori che con lucida follia hanno preparato e innescato l’esplosione di quel casolare che proprio non volevano lasciare. In tanti pare avessero negli anni provato a farli ragionare, offrendo loro anche valide alternative. Ma nulla. Quel legame quasi ossessivo con la terra, la loro terra, le loro bestie, le quattro povere mura in cui si era consumata tutta la loro misera esistenza ha avuto la meglio e determinato la tragedia. Una tragedia annunciata, secondo quanto si è potuto ricostruire, iniziata più di dieci anni fa, in quella maledetta sera in cui se uno dei fratelli agricoltori avesse semplicemente acceso i fari del trattore che stava guidando non avrebbe causato la morte di un automobilista e non avrebbe indebitato la famiglia con le banche per pagare i danni di quell’incidente. Quanti “se” e “ma” hanno portato al tragico epilogo del 14 ottobre?
Nei giorni scorsi chi ha provato a dire che sarebbe necessario cercare di “comprendere” quanto accaduto è stato oggetto di pesanti e strumentali attacchi politici. Ma comprendere non vuol dire “giustificare”. Comprendere significa cercare di capire le cause profonde, capire come si possa essere giunti ad un gesto così estremo in un ricco comune del Nordest nel 2025. Chiedere “comprensione” non è, almeno per noi, invocare clemenza, ma è un richiamo a livello sociale e anche politico, perché evidentemente ci sono nel nostro Paese sacche nascoste e preoccupanti di ignoranza, povertà, disagio psichico, isolamento sociale che devono essere considerate, prima che divengano altre bombe pronte a deflagrare.
La distinzione tra comprendere e giustificare, che il mondo sembra far tanto fatica a capire, ha radici evangeliche e ci permette di uscire dalle secche dei discorsi d’odio che spesso caratterizzano il dibattito politico e le condivisioni sui social, e questo senza risultare né buonisti, né giustizialisti o qualunquisti.
Anche se in questo caso pare che davvero tanti fossero stati i tentativi fatti per aiutare quei tre fratelli da parte del comune, della parrocchia, dei parenti… ancora ci tormenta e inquieta la domanda: possibile che nessuno sia riuscito a rompere la bolla psicotica in cui si erano progressivamente rinchiusi e incattiviti i tre agricoltori veronesi? Non ogni disagio psichico è riconducibile a cause sociali, lo sappiamo. Non sempre il male è un prodotto sociale e in ogni caso i condizionamenti esterni non eliminano le responsabilità individuali. Ma non possiamo chiudere questa vicenda solo dipingendone, in modo paradossalmente rassicurante, i colpevoli come dei selvaggi, “brutti, sporchi e cattivi”. Così facendo, le vittime a Castel d’Azzano risulterebbero anche le istituzioni, la nostra umanità, la carità cristiana. E questo, davvero, non possiamo permetterlo.
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