Il titolo dell’editoriale di questa settimana potrebbe riferirsi al genocidio di Gaza, anche se un po’ di rumore finalmente si è levato da più parti contro la distruzione del popolo palestinese scientemente messa in atto dal governo di Israele. Quantomai opportuna suonerebbe l’espressione per parlare anche dell’Ucraina, la cui situazione, tutt’altro che migliorata, pare non godere più di grande attenzione nell’agenda politica e mediatica internazionale.
Di tutto questo troverete notizia nelle pagine interne del giornale. Ma vogliamo qui proporre una riflessione su un’emergenza di casa nostra che rischia, però, di non essere affatto considerata, venendo invece derubricata, al verificarsi ogni nuovo episodio, a tragico imponderabile fatto di cronaca locale. Secondo un recente rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità, ogni anno in Italia muoiono per annegamento circa 350 persone. Di questi il 12 per cento sono minorenni, bambini o adolescenti. Quaranta giovani vite che ogni estate da almeno dieci anni trovano la morte facendo un bagno al mare e, soprattutto, nelle acque cosiddette interne (laghi, fiumi, canali…) del nostro Paese. Si può dire che in estate non passi fine settimana senza la notizia di una tale disgrazia. Ma il dato che in tutto questo impressiona è che l’80 % di questi minorenni che annegano nei nostri fiumi e nei nostri laghi siano figli di famiglie migranti, ragazzi e giovani stranieri, appartenenti perlopiù alle classi sociali più umili, quelli che in vacanza non ci possono andare e così cercano un pomeriggio di refrigerio e divertimento vicino a casa, in luoghi dove magari la balneazione sarebbe proibita, inconsapevoli delle norme e dei pericoli che corrono.
Solo per citare gli ultimi casi, potremmo ricordare Nassar, morto a 15 anni in seguito ad un tuffo nel Po vicino a Pavia domenica scorsa, o la piccola Adna (9 anni, di origine marocchine) annegata nel Piave a Pederobba a fine giugno; il sedicenne sudanese scomparso nelle acque del fiume Adda sempre all’inizio dell’estate; oppure il giovane indiano morto nel lago di Como a metà luglio; o ancora Yasser, genitori egiziani, 18 anni appena compiuti, che ha perso la vita facendo il bagno con gli amici in un canale a Garbagnate Milanese. E che dire del ragazzo marocchino residente a Rovigo morto an negato nel tentativo di aiutare due persone in difficoltà al Lido degli Estensi pochi giorni fa?
La lista, a spulciare la cronaca locale soprattutto delle regioni del nord Italia, si allunga velocemente. Eppure il fenomeno pare non meritare una riflessione globale e approfondita. Sempre secondo il rapporto dell’ISS, le morti per annegamento di minorenni in Italia, rispetto al passato, sono in realtà in calo. Più attenzione da parte dei genitori nel vigilare i figli, maggiori abilità natatorie tra i ragazzi e minore frequentazione di luoghi potenzialmente pericolosi in cui fare il bagno hanno rido o sensibilmente il numero dei bambini annegati. Cosa un tempo invece purtroppo molto frequente in tutti i nostri paesi che sorgono vicino ad un lago o all’argine di un fiume o di una roggia e che conservano la memoria dolorosa di qualche figlio o fratello morto annegato, magari mentre pescava o faceva il bagno con gli amici. Storie d’altri tempi, ma tornate ora tristemente attuali. E le vittime di oggi sono appunto ragazzi migranti, poveri e dunque esposti non solo da un punto di vista economico, ma anche culturale, un po’ sprovveduti, come forse lo eravamo anche noi negli anni ‘50 o ‘60 del secolo scorso.
La sensazione, purtroppo, è però che se ad annegare nel fiume sono Ahmed o Samir, questo abbia un minore impatto emotivo, sociale e mediatico. Ma nessun ragazzo dovrebbe morire in un caldo pomeriggio d’estate perché non gli è stato spiegato che può essere pericoloso o nessuno gli ha insegnato a nuotare o gli ha off erto un’alternativa sicura. Quaranta ogni estate sono davvero troppi.
Alessio Giovanni Graziani, donalessio@lavocedeiberici.it
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