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«A braccetto con le nostre mogli», insieme, a servizio della Chiesa

6 Dicembre 2023
in Diocesi
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«A braccetto con le nostre mogli», insieme, a servizio della Chiesa

«Mia moglie? Beh all’inizio non l’ha presa benissimo. Penso sia stata una piccola reazione di gelosia». Mauro Addondi, 59 anni, di Brogliano, infermiere, padre di quattro figli e nonno di 6 nipoti, ha confidato di pensare al diaconato permanente una sera a cena con amici. La moglie Orietta ha sgranato gli occhi. «Doveva rifletterci – sorride Mauro -. Poi una mattina mi ha detto: ho parlato con il Superiore (riferendosi a Dio ndr) e ci sto. Facciamolo». Senza l’appoggio delle mogli i sei aspiranti diaconi questo venerdì 8 dicembre non si troverebbero in Cattedrale per l’ordinazione davanti al vescovo Giuliano. Nel momento dell’ammissione serve infatti il loro consenso. È un percorso a braccetto, una lunga pedalata in tandem, anche le consorti partecipano a tutti gli incontri di formazione. Un punto centrale di questo ministero non ancora abbastanza conosciuto.

Due insegnanti, un infermiere, un impiegato, un imprenditore e un pensionato «da neanche tre mesi però», scherza l’interessato. Ecco i sei candidati diaconi. Il più giovane ha 48 anni. Sono tutti sposati e padri. Ve li presentiamo.

«Che cosa fa un diacono? È un mezzo prete? Ma è sposato, ha figli!» Sono queste le domande che si sentono in parrocchia, la gente spesso non sa bene ancora di che cosa si tratti – dice Federico Dalla Motta, 48 anni, della parrocchia di San Giorgio in Gogna a Vicenza, insegnante, padre di due figlie adolescenti, sposato con Marzia – . E per fortuna non so nemmeno io bene che cosa fa un diacono. So che è una meravigliosa possibilità di essere presente a nome della Chiesa in mezzo alla gente. Mi preoccupo di portare la Chiesa nelle case. Il valore aggiunto non è tanto avere una famiglia, un lavoro, ma è il linguaggio. Parliamo la lingua delle persone. Abbiamo una formazione diversa dai preti. Appoggio l’idea di rivedere la formazione nei seminari: è urgente riacquistare il linguaggio della gente».

«Non c’è il vocabolario Treccani che ci spiega che cosa fa un diacono. È una figura ancora tutta da scoprire» commenta Mauro Addondi che ha capito che il diaconato era la sua strada dopo un incontro vicariale con l’allora vescovo Beniamino Pizziol: «Ci ha presentato la situazione drammatica della chiesa vicentina dovuta al calo di vocazioni. Ho sentito una grande responsabilità e mi sono detto “posso fare la mia parte”» continua l’infermiere.

A Federico, professore all’Istituto Da Schio di Vicenza dopo tanti anni in banca, invece, l’idea del diaconato permanente è balenata in testa durante la messa per la beatificazione di don Ottorino Zanon, fondatore della Pia Società San Gaetano. «Ho pensato che potesse essere la risposta ai miei valori e al mio stile di vita» afferma. È della parrocchia di San Giogio in Gogna, per tanti anni ha prestato servizio nella parrocchia di Polegge: catechista, animatore, musicista nel coro.

Con la moglie, prima del diaconato, ha condiviso tantissimo: l’esperienza missionaria dai Saveriani da giovani, l’affido di una ragazza di 17 anni poi, fino alla vita in comunità assieme alla sua famiglia.

Luigi Gravino, 58 anni, residente ad Alonte, ma attivo nella parrocchia di Lonigo è un imprenditore nel settore elettromeccanico. Sposato con Donata, ha tre figli. Ci sono volute quattro persone che gli consigliassero il diaconato perché si convincesse che era la sua strada. «Il primo fu don Francesco Gasparini che me lo suggerì durante una delle lezioni all’Irss che dal 2008 ho frequentato da uditore per qualche anno» racconta.

Luigi per 5 anni, dai 17 ai 22, ha fatto parte dei laici consacrati dell’Istituto Secolare Cristo Re fondato da Giuseppe Lazzati. «Fu molto importante, ma lasciai perchè mi mancava il legame alla diocesi» dice. «Il diaconato è la strada giusta per me. Quest’anno il rapporto è 6 a 1: sei diaconi ordinati e un solo sacerdote. È necessario leggere i segni dei tempi». «Rispetto ai preti abbiamo dei piccoli vantaggi – afferma- . Il dono sponsale prima di tutto. Poi abbiamo dei figli, smettiamo di leggerlo in modo negativo. Sono doni, strumenti in più. C’è poi il dono della professione: ci “sporchiamo le mani”, partecipiamo alle realtà temporali. Mi piace il concetto del lievito di Lazzati. Non si vede, ma lavora». Luigi chiude con una convinzione: «La Chiesa ha tempi troppo lunghi per convincersi di certe dinamiche. Personalmente vedrei bene che anche le donne potessero diventare diacono, esattamente come noi maschi. Mia moglie in questo percorso è stata fondamentale».

Paolo Zancan, 57 anni, vicepreside dell’Istituto comprensivo di Chiampo, padre di due figli, è stato invece invitato al diaconato dal suo ex parroco. Il confronto con la moglie Lara è stato indispensabile: «È un diaconato a due a tutti gli effetti – afferma -. Anche se venerdì davanti al Vescovo ci sono io, in realtà siamo in due e lo saremo sempre» spiega. «Qualcuno ha visto qualcosa in me, lo dico sottovoce perchè non voglio sembrare presuntuoso, non fa parte del mio carattere. Lo Spirito Santo è un vento leggero però quando soffia è inesorabile e ti dà tanta forza».

Paolo ha concluso gli studi di teologia per conto suo prima di intraprendere il cammino diaconale. «Anni fa ho giurato fedeltà a mia moglie. Ora alla Chiesa. Andrò dove il Vescovo mi manderà» conclude.
«Sentivo qualcosa dentro che mi portava alla parola “diacono” senza sapere bene che cosa fosse – confida Marco Fiorentino, 59 anni, impiegato, residente a Sovizzo -. Una famiglia a tre la sua, cresciuta nella fede nel Movimento dei Focolari: lui, la moglie Giovanna ed Ettore, 23 anni (li intervistiamo sotto ndr).

Fu don Emanuele Cuccarollo ad indicargli la strada. «Aveva già capito tutto – racconta -. “Questa si chiama vocazione” mi disse. Poi arrivò la conoscenza con don Giovanni Sandonà e fu tutto in discesa. Mia moglie e mio figlio mi hanno appoggiato. Mettiamo sempre in comunione d’animo ogni aspetto della vita, positivo e negativo. Se nel matrimonio si va in tandem, noi siamo un tridente» afferma.
Chiude il sestetto che l’8 dicembre riceve l’ordinazione diaconale in Cattedrale Antonio Walter Polga, 63 anni, per tutti Walter, di Malo, impiegato comunale in pensione da qualche mese. Sposato con Marina, ha 4 figli ed è nonno.

«Sono 30 anni che mi interesso delle cose del Signore» dice. Valori ed esperienze di vita coltivati con la moglie. «Abbiamo cominciato con il Movimento del Cursillos di Cristianità. Avevo 28 anni – racconta – . È stata un’esperienza di fede importante che ha acceso in me la scintilla. Verso i 30 anni ho cominciato a chiedermi che cosa volesse dire davvero essere cristiani». «La vocazione al diaconato è più recente – continua Walter – risale a 10-15 anni fa. È stato un percorso di consapevolezza lento, sicuramente supportato dagli amici della Pia Società San Gaetano».

«Da quando abbiamo cominciato il percorso mia moglie ha già firmato tre-quattro volte – scherza -. Ci siamo impegnati insieme».«I miei figli all’inizio erano un po’ perplessi – racconta -. Nostro padre che si espone sull’altare? Non è ancora una cosa ben compresa, può creare imbarazzo. Serve un’azione seria di comunicazione, il diacono è una figura che dev’ssere conosciuta di più».

Tre figli sono già fuori casa, il più giovane di 24 anni vive con i genitori: «Adesso è una scelta acquisita e condivisa da tutti – conclude Walter -. La famiglia ha partecipato al lettorato e all’accolitato. Questo venerdì sono accanto a me».

Marta Randon

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