Entrano in vigore questa domenica 2 novembre nella Commemorazione di tutti i fedeli defunti le nuove Proposizioni per la pastorale del lutto e la celebrazione delle esequie nella Diocesi di Vicenza. Un documento composto di nove brevi paragrafi, frutto di un lavoro di discernimento, durato più di un anno, da parte del Consiglio presbiterale e del Consiglio pastorale diocesano, e promulgato dal vescovo Giuliano per orientare l’azione di preti e comunità cristiane in quello che è – come richiamato nella Presentazione – “un passaggio delicato nella vita delle famiglie… in cui il dolore si fa strada nel cuore e un tempo in cui la comunità cristiana è chiamata a rendere presente il mistero della Pasqua del Signore Gesù”. Ne parliamo con don Pierangelo Ruaro, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano.
La Diocesi aveva già emanato delle Indicazioni Liturgico pastorali nel 2012. Perché ora un aggiornamento?
«Certamente la tematica è molto sentita nella vita dei preti. La carenza dei ministri ordinati che devono spartirsi su più parrocchie rende la pastorale del lutto un impegno gravoso a cui a volte risulta difficile adempiere in modo adeguato o con lo spirito giusto. Più funerali ogni settimana per un parroco possono generare una fatica anche psicologica. D’altra parte, però, tutti concordano nel riconoscere che queste celebrazioni sono occasioni importanti per essere vicini alla vita della gente e cercare di portare la speranza che nasce dal Vangelo. Inoltre le indicazioni date nel 2012 non sono state ancora del tutto recepite. Le attuali Proposizioni ne confermano la validità, rimotivano e cercano di dare risposta a qualche questione nuova che si è evidenziata in questi ultimi dieci anni».
La quasi totalità dei funerali viene ancora fatta in chiesa. Mancanza di alternative o autentica ricerca spirituale?
«La morte di una persona cara è un momento che suscita le grandi domande della vita, quelle legate al senso dell’esistenza con cui tutti prima o poi devono fare i conti. Oggi, rispetto a dieci anni fa, le possibilità alternative in chiave laica di una celebrazione di commiato ci sarebbero. Ma anche chi frequenta poco, alla fine torna in chiesa in questi momenti. Penso che la morte ci metta davanti alla sensazione, percezione che ci sia qualcosa di più grande, che ci supera. E che la persona cara resti viva, in qualche modo presente anche dopo la morte. Questo apre all’annuncio cristiano della Risurrezione. Il funerale cristiano non è una commemorazione del passato, ma è uno sguardo su un futuro ancora possibile».
Per questo si ribadisce che le ultime parole della celebrazione non dovrebbero essere i ricordi di familiari e amici?
«Esatto. Il ricordo di quanto di bello si è vissuto assieme a livello familiare o comunitario ci può essere nell’ottica del ringraziamento e del ricordo. Ma l’indicazione è che venga fatto alla veglia di preghiera la sera prima dei funerali o all’inizio della celebrazione. Mentre alla fine si termini con le parole della liturgia che parlano di un passaggio alla vita di Dio presi per mano dal Cristo e della possibilità un giorno di ritrovarsi».
Si parlava di un affanno da parte dei preti chiamati a celebrare tanti, troppi funerali…
«Le nuove Proposizioni sottolineano con forza che tutta la comunità cristiana è chiamata a vivere l’accompagnamento di chi ha perso una persona cara. Un’azione pastorale che non si limita alla celebrazione delle esequie, ma che prevede la visita alla famiglia, la veglia di preghiera, la preghiera al momento della chiusura della bara, l’accompagnamento al cimitero e possibilmente una presenza anche nei giorni successivi alla celebrazione. Molti di questi momenti possono essere accompagnati da ministri laici adeguatamente formati».
La nostra diocesi ha ormai una storia importante di formazione dei “ministri della consolazione”.
«Ne formiamo da quindici anni una ventina all’anno. Quindi sono ormai più di duecento in diocesi e prestano un servizio prezioso soprattutto nell’animazione delle veglie di preghiera, nelle visite alle famiglie in lutto e nelle preghiere al cimitero, dove sempre più spesso preti e diaconi non riescono ad andare. Abbiamo iniziato proprio perché nella nuova edizione del Rito delle Esequie del 2012 si parlava di figure laiche che possono affiancare i ministri ordinati nell’accompagnamento del lutto. Il corso di formazione si terrà anche a gennaio 2026 a Casa Mater Amabilis in collaborazione con Caritas diocesana, ma sarà preceduto nelle prossime settimane da un altro corso più focalizzato sulla guida della veglia di preghiera che precede il funerale». (box) Nei primi mesi del 2026 è previsto anche un percorso di formazione circa l’animazione musicale dei funerali, promosso dall’Istituto Diocesano di Musica.
Nelle Proposizioni si cita un sussidio di imminente pubblicazione.
«L’Ufficio Liturgico diocesano sta preparando un sussidio pensato per i laici che devono guidare le veglie di preghiera, con la proposta di una decina di schemi diversi. Tradizionalmente si pregava il Rosario e questo può restare, ma arricchito dalla Parola di Dio ed evitando una recita meccanica, che soprattutto per chi non frequenta abitualmente, potrebbe risultare arida o insignificante».
Funerali: Messa o Liturgia della Parola?
«Dopo la pandemia abbiamo evidenziato che entrambe le formule sono possibili, ma in ogni caso è una scelta che va concordata con i familiari, tenendo conto della storia e della sensibilità del defunto e del vissuto della famiglia, e non deve essere imposta a tutti dal parroco allo stesso modo. Se una persona non aveva consuetudine con la Messa non ha senso “imporla” in quel momento, meglio una Liturgia della Parola che potrebbe risultare più evangelizzante. Il suffragio per il defunto è comunque garantito attraverso la preghiera della Chiesa. Non è un funerale di serie B. Tra l’altro andrebbe ricordato che almeno fino al 1930 i funerali erano quasi sempre celebrati senza Messa».
Alcune questioni più specifiche e un poco “scottanti”: parole e immagini usate per i necrologi…
«Molte volte le parole o le immagini scelte tradiscono un vissuto che sta perdendo di vista il senso cristiano della morte. La verità è che facciamo fatica ad usare la parola “morte” e allora ci rifugiamo in espressioni meno dure, più consolatorie, ma un poco svianti. Un funerale non è semplicemente una “liturgia di Risurrezione”, come a volte si legge: si celebra la morte e la sofferenza che essa inevitabilmente provoca, ma nella speranza cristiana, perchè in Cristo essa diventa “passaggio”. E’ la Pasqua di Cristo che si compie in quel defunto. Eviterei poi ritratti della Madonna o dei santi su un annuncio di morte, perché è Cristo che ci ha salvati dalla morte ed è a Lui che affidiamo la persona defunta».
Preghiera dell’Alpino?
«Resta l’indicazione di usare quella nuova, autorizzata dall’Ordinariato Militare. In Cattedrale è stato dato l’esempio durante l’Adunata Nazionale del 2024. Dall’altra parte, oggi più che mai il riferimento alle “armi da rendere forti” che la vecchia preghiera porta con sé pare quanto mai inopportuno».
Case funerarie?
«Nascono come luoghi per i funerali laici o per conservare il corpo in attesa dei funerali, soprattutto quando i tempi si allungano. Di certo favoriscono le visite e il ritrovarsi dei parenti e svolgono un ruolo prezioso. Dobbiamo però ribadire che non possono essere il luogo del funerale che resta la propria chiesa parrocchiale».
Ceneri in casa o addirittura disperse…
«Non è opportuno tenerle in casa dopo il funerale. Senza il distacco fisico dai resti mortali dei propri cari può diventare molto difficile rielaborare il lutto. E poi si privano le persone esterne alla famiglia della possibilità di una visita e di una preghiera. Una privatizzazione ingiusta. Andare al “cimitero” è una professione di fede. La parola indica il luogo di un riposo temporaneo. Ben diverso dalle necropoli pagane che erano invece le “città dei morti”».
di Alessio Graziani
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