Il conflitto in Ucraina ci ricorda in modo drammatico che la guerra è ancora la risposta preferita ai conflitti internazionali. Ne abbiamo parlato con don Tonio Dall’Olio, presbitero, giornalista e attivista per la nonviolenza, presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi.
Don Tonio qual è il suo pensiero di fronte a questa situazione?
«Di fronte a questo discorso siamo, anche come comunità cristiana, talmente lontani da una sensibilità profonda e attenta alla costruzione della pace, che abbiamo dovuto attendere che la guerra bussasse alle nostre porte per porci qualche domanda. Nel frattempo c’era un pontefice che ci ricordava che era in atto una guerra mondiale a pezzetti. Ricordare i vari conflitti in corso dalla Siria ad Haiti, dal Congo al Sud Sudan, dallo Yemen alle tante altre guerre, ci fa rendere conto che la situazione è molto più ampia di quello che immaginiamo in riferimento all’Ucraina. Ma il ricorso alle armi è un utensile obsoleto che non può funzionare, per il carico di vite umane che comporta».
Quali risposte alternative?
«Dovremmo spingere sulla linea della diplomazia ed è quello che dovremmo pretendere, ciascuno dal proprio governo. Queste possibilità ci sono e vanno sperimentate. Siamo stati capaci, come Occidente, di dialogare con i peggiori criminali, quali i talebani per lasciare quella situazione in Afghanistan. Non riesco a convincermi che non ci siano spazi di dialogo con la Federazione Russa. Il problema è che fin dall’inizio la coalizione occidentale ha scelto di fatto un’altra strada».
C’è poi la scelta della difesa non violenta…
«Si tratta di metterci non solo la faccia, ma il corpo e cioè organizzare una presenza non violenta nei territori attraversati dai conflitti armati. Si tratta di una vera e propria scienza e disciplina che ha uno strumentario ampio che va dalla disobbedienza civile alla resistenza, al boicottaggio, alla possibilità di parlare direttamente al ‘nemico’, soprattutto la popolazione di quel “nemico”».
E invece da noi l’impressione è che ci siamo abituati alla guerra. È così?
«Il ‘Si vis pacem para bellum‘ («se vuoi la pace, prepara la guerra») ci abita talmente in profondità da non riuscire più a immaginare altra soluzione. Ma noi cristiani non possiamo rassegnarci alla guerra, se crediamo a un vangelo che ci chiede addirittura di amare il nemico».
Eppure noi, come credenti, anche su invito pressante del Papa, ci troviamo spesso a pregare, a organizzare marce come quella di domenica. Ma a parte questo le nostre comunità non riescono a mettere in campo altri tipi di azione e appaiono in grande ritardo. Cosa ne pensa?
«Don Tonino Bello affermava che chi prega ha le mani sul timone della storia. Io mi sono chiesto come è possibile che abbiamo le mani sul timone della storia e la barca vada in tutt’altra direzione. La risposta che mi sono dato è che noi scegliamo la rotta, ma poi ci sono le mareggiate che ci spostano lo scafo o addirittura ce lo capovolgono. Questo non significa che dovremmo smettere di pregare, anzi dovremmo farlo di più».
Nella quotidianità ci sono anche iniziative che aprono spazi di speranza, come quella che state portando avanti a livello nazionale. Ce la spiega?
«Si tratta di Stop the war now, un’ampia coalizione con 180 organizzazioni nazionali e locali che ha già organizzato diverse azioni e ha una presenza continua per esempio in Ucraina attraverso l’Operazione Colomba dell’associazione Papa Giovanni XXIII. Sono state organizzate evacuazione di profughi, presenze e distribuzioni di aiuti. Ora vorremmo fare un salto di qualità con la Conferenza episcopale italiana. Stiamo preparando un progetto che metta in piedi una vera scuola di non violenza con respiro europeo. Questa scuola deve abilitarci a non improvvisare delle risposte, a essere presenti anche con operazioni non solo di peace building ma anche di peace preventing laddove c’è ‘puzza di bruciato’ (per usare un’espressione di don Dossetti), laddove cioè si comincia a minacciare la guerra e dunque da questo punto di vista occorre essere sicuramente più attrezzati e abilitati di oggi».
Dalle cose dette risuona l’appello del Papa per la Giornata della pace del 2023 ‘Nessuno si salva da solo’ ed evidenzia come la pace si può costruire solo insieme. Su questo trovano il senso anche le marce come quella di fine gennaio. Quale il tuo commento?
«Il cammino è una metafora essenziale laddove Gesù Cristo non ha mai inteso proporre una fede individualista, isolata, anzi. Bisogna camminare e camminare insieme. Solo a queste condizioni si potrà tendere alla salvezza. Sono condizioni essenziali per motivarci e credere nella non violenza che Gesù per primo ci ha proposto. La testimonianza di Gesù è profonda e dovrebbe sollecitarci in questa direzione ».