La Regione si prepara a rinnovare i vertici delle 9 Ulss Venete, costituite con la riforma della sanità regionale approvata dal 2016 e divenuta operativa l’anno successivo. Il rinnovo riguarderà anche l’Azienda Zero, le Aziende ospedaliere di Padova e Verona e l’Istituto Oncologico Veneto. A Vicenza i nuovi direttori (o direttrici) che arriveranno saranno due: per l’Ulss 7 Pedemontana (nata dallincorporazione dell’Ulss 4 Alto Vicentino nell’Ulss 3 di Bassano) e per l’Ulss 8 Berica (nata dall’incorporazione dell’Ulss 5 Ovest Vicentino nell’Ulss 6 di Vicenza). Il provvedimento che ha avviato le procedure di selezione è stato pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Veneto la scorsa estate e successivamente si è costituita la commissione che valuterà i candidati. Quelli attualmente in carica sono stati nominati nel 2021, con un mandato valido per tre anni, con una possibilità di proroga di altri due. L’avvio della procedura di selezione potrebbe, quindi, dare un generale turnover ai manager della sanità pubblica veneta. Sulla quale, va’ detto, qualche punto di domanda c’è.
Gli ultimi anni sono stati segnati dalla pandemia da Covid-19, che ha condizionato tutta la struttura, generando un’importante arretrato di visite e diagnosi, aggravato dalla carenza di personale medico, ospedaliero e di medicina generale nel territorio. A monte, però, ci sono state la riorganizzazione ospedaliera e la già citata riforma delle Ulss, che in qualche modo hanno “rivoluzionato” la sanità veneta. In positivo o in negativo? Secondo Daniela Carraro, ultima direttrice generale dell’Ulss 4 Alto Vicentino, un primo problema sta nel fatto che «mentre per le Ulss è stata fatta una riforma quadro, per gli ospedali si sono susseguiti vari atti di programmazione, ma non c’è stato un intervento legislativo organico, per cui sono rimaste diverse incongruenze, come il mantenimento degli ospedali di Cittadella e Camposampiero, a pochi chilometri di distanza, ma non quelli di Schio e di Thiene». Per quanto riguarda la riforma delle Ulss, invece, «gli obiettivi che si era data non sono stati raggiunti. Se 21 Ulss erano dispersive sul piano delle catene decisionali, avevano anche il grosso peccato di mettere sullo stesso piano Ulss di dimensioni diverse e con problemi diversi – prosegue Carraro -. La riforma aveva l’obiettivo di ridurre le disomogeneità, i centri decisionali e il numero di direttori generali. Le Ulss sono state accorpate, ma le disomogeneità sono rimaste. Anche perché, spesso, ad assumere una posizione dominante sono stati i capoluoghi di provincia, che però non sempre vantavano il servizio meglio organizzato».
Inoltre, è completamente cambiato il rapporto delle dirigenze Ulss con il territorio. «Con la riforma delle Ulss, i sindaci sono stati completamente esautorati dalle scelte sanitarie del territorio». A dirlo è Valter Orsi, sindaco di Schio dal 2014 fino alle elezioni del prossimo giugno. «In precedenza – prosegue Orsi – avevamo un ruolo consultivo, di indirizzo e di controllo tramite la Conferenza dei sindaci. Ora le uniche competenze che ci sono rimaste riguardano il settore socio-sanitario, relative a quei servizi che come Comuni co-finanziamo e che sono rivolti ad anziani e disabili. La riforma ha tracciato una linea netta: sulla sanità, come sindaci, non abbiamo nessuna voce in capitolo diretta».
Nel Vicentino, si diceva, a differenza di altre province il territorio è diviso in due Ulss. «L’ottica di avere due Ulss in provincia avrebbe dovuto significare un migliore allineamento dei servizi in tutto il territorio di competenza – spiega Orsi -. All’inizio non è stato per niente così, perché c’è stata una grande preponderanza di attenzione nei confronti del bassanese». Le manifestazioni di protesta non sono mancate, con i sindaci dell’Alto Vicentino in testa ai cortei. «Le cose sono cambiate con il Covid – continua Orsi -. Con l’ospedale di Santorso come Hub di riferimento per la pandemia, Zaia si è impegnato a ricambiare lo sforzo e a riequilibrare la situazione». Tutto questo, conclude Orsi, «ci ha spinti ad entrare in un’altra dimensione: se prima, come sindaci, partecipavamo alle decisioni, oggi abbiamo costruire un rapporto diverso con i direttori generali e i loro staff».
Anche perché, riforma o non riforma, i sindaci rimangono il principale punto di contatto dei cittadini con le istituzioni sanitarie. E oggi, uno dei problemi per i quali si fermano i sindaci per strada e si firmano petizioni, è la grave carenza di medici di base. «Per sopperire alla mancanza cronica di medici di base la Regione ha scelto di aumentare il numero di pazienti. Ma le caselle sono già complete – riferisce Orsi -. Ci ritroviamo di fronte a professionisti che non possono svolgere il loro ruolo nella maniera alla quale era abituata la mia generazione. Ma è una cultura che non va persa quella del contatto tra il medico e il paziente. Da quello che ci dicono in Regione, con l’arrivo di nuovi laureati si dovrebbe sopperire alla carenza». Daniela Carraro affronta il problema da un punto di vista diverso. «Per sapere se i medici di base sono pochi o tanti – è il suo ragionamento – dobbiamo sapere cosa fanno. Vanno tolte incombenze burocratiche eccessive e introdotti strumenti veloci di relazione con i colleghi. Inoltre nelle medicine di gruppo va inserito personale di segreteria efficace. A livello ospedaliero, la domanda è la stessa: per sapere se i medici sono tanti o pochi, dobbiamo sapere cosa fanno. In Italia tra tecnici, infermieri, ostetriche e altre figure specializzate potrebbero essere svolte mansioni che attualmente sono in carico ai medici, per impostazione normativa e culturale. All’estero le cose non molto diverse. Ricordo la visita ad un pronto soccorso inglese gestito esclusivamente da infermieri. Quindi: abbiamo pochi medici o non siamo riusciti a riorganizzare il lavoro? Secondo me non siamo riusciti».
Andrea Frison