È proprio difficile essere bambini, anzi neonati, in questa epoca post moderna anche nei Paesi più ricchi e progrediti del Pianeta qual è il nostro. Le cronache ogni giorno ci raccontano le giornate drammatiche che sono costretti a vivere tanti bimbi in Ucraina, piuttosto che in Sudan, o in tanti altri luoghi segnati profondamente e drammaticamente da guerre dimenticate, dove il rumore con cui questi neonati conoscono il mondo è soprattutto quello terribile delle bombe e delle armi da fuoco.
Ma non occorre andare lontani, per intuire come la vita per più di qualche nascituro sia da subito una durissima battaglia per la sopravvivenza.
E vivere è stata una battaglia che non ha vinto la bimba ritrovata esanime qualche giorno fa in un cassonetto a Milano, dove è stata lasciata già morta.
È una battaglia durissima per Ismaele, bimbo subsahariano che incredibilmente ha attraversato il Mediterraneo a soli 5 mesi, in un’imbarcazione di fortuna. Il neonato affidato alle cure del personale ospedaliero di Lampedusa ora attende che arrivi il papà dalla Tunisia, mentre la mamma non c’è più. È, infatti, morta con altri due migranti dispersi a causa del ribaltamento dell’imbarcazione su cui viaggiavano.
Vivere è una battaglia anche per Enea, il bambino che venti giorni fa ha riempito le cronache, con la sua storia facilitata da una madre che, consapevole di non farcela a crescerlo, lo ha affidato all’ospedale Mangiagalli di Milano depositandolo nella culla per la vita, sperando così che altri possano dargli un futuro migliore di quello che avrebbe potuto garantirgli lei.
Tre storie diverse, ma che ci raccontano quanto ancora sia difficile venire al mondo e quanto l’esistenza, per qualcuno sia, fin da subito, difficilissima. Eppure questo essere appesi, per pochi giorni, certe volte pochi istanti, alla vita con le poche forze su cui un neonato può contare, ci testimonia di come la vita abbia bisogno di essere difesa, custodita, sostenuta. I neonati sono per eccellenza gli esseri umani più fragili che necessitano di tutto e di tutti per poter vedere il futuro. E non a caso sono, per eccellenza, le prime vittime inermi e innocenti dei tanti conflitti che insanguinano ancora oggi tanti Paesi. Questi appelli alla vita che arrivano da chi l’esistenza l’ha appena iniziata sono un richiamo a ognuno di noi e a tutte le istituzioni affinchè ci sentiamo coinvolti nel “dare la vita”, responsabili di questi nascituri portatori di un futuro e di una speranza che sono anche nostri e che dunque dovremmo, con convinzione, proteggere.
Il 4 maggio ricorrono i 40 anni della legge 4 maggio 1983 n. 184 con cui è stato approvato l’affidamento familiare. Da più parti c’è la richiesta che venga istituita una Giornata nazionale dedicata a tale istituto e per questo è stata anche depositata una proposta di legge. Tale Giornata potrebbe diventare l’occasione per rilanciare e rinnovare l’invito alle famiglie e alle istituzioni all’accoglienza e alla solidarietà, al sentire che ogni nuovo nascituro è, per certi versi, “affidato” a tutta la società e per tutta la società rappresenta un valore inestimabile.
Accanto a questi bimbi nati già lottando per sopravvivere, ci sono poi delle donne, delle madri. La nascita parla anche di loro e talvolta anche della loro solitudine, povertà e sofferenza. Il grado di civiltà di una società si misura anche da come sa accogliere la vita, ogni vita, e da come sa essere accanto e sostenere le donne che portano in grembo un figlio. Nei nostri discorsi sulla denatalità dovremmo ricordarcelo.
Lauro Paoletto