«A te, Signore, elevo l’anima mia, Dio mio, in te confido: che io non sia confuso. Non trionfino su di me i miei nemici. Chiunque spera in te non resti deluso». Con questa antifona d’ingresso ha inizio il tempo di Avvento. Mi sarei aspettato l’annuncio gioioso della venuta di Dio, ed ecco, invece, le parole di un uomo nella tribolazione. Un uomo che non prega solo per sé, ma per altri: «Chiunque spera in te non resti deluso». Un uomo che fa sue le speranze dell’umanità , le attese dell’umanità . Mi chiedo se non sia questo, anzitutto, l’Avvento. Un tempo nel quale far proprie le attese degli uomini e delle donne di oggi.
Le attese di chi, come in Palestina, aspetta da decenni la libertà , la giustizia e la pace. Le attese delle donne afgane o iraniane e di tutte le altre ancora discriminate e umiliate e a volte violate e uccise dalla prepotenza maschile. Le attese di chi si vede costretto a emigrare e si trova bloccato in un campo profughi o in una prigione libica. Le attese di chi aspetta per anni un permesso di soggiorno. Le attese dei genitori che hanno un figlio in guerra e quelle di chi desidera un figlio e non riesce ad averlo. Le attese di chi cerca casa, di chi cerca lavoro, di chi cerca un compagno, una compagna. Le attese di chi cerca un senso nuovo da dare alla sua vita quando esso sembra spegnersi con la morte della persona amata. Le attese della madre terra che grida anche lei semplicemente rispetto.
Quante attese, quante speranze! «Chiunque spera in te non resti deluso», prega l’orante. Egli chiede a Dio di ascoltare queste suppliche e di non lasciarle cadere nel vuoto, chiede per i suoi fratelli e sorelle l’esaudimento dei loro desideri di vita e di gioia.
Ma chiede anche ai suoi fratelli e sorelle di sperare in Lui, in Dio. Ecco, l’Avvento è anche questo. È soprattutto questo: porre la propria speranza in Dio, in Colui che viene a salvarci. Il nome di Gesù significa proprio questo: Dio salva, Dio aiuta, Dio soccorre. L’Avvento è il tempo in cui Dio si manifesta come il Dio che viene, che non sta lassù nei cieli beato, lontano e indifferente agli uomini. Fin dagli inizi, egli si piega su Adamo ed Eva per rivestirli con la sua compassione. E quando il suo popolo sarà schiavo in Egitto, si presenterà così a Mosè: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire…» (Es 3,7-8).
Il suo coinvolgimento nella storia dell’umanità è tale da mandare a noi il Figlio suo. Gesù è il Dio con noi, il Dio che fa sua la nostra storia, la condivide dal di dentro, diventando uno di noi. Fino a soffrirne, fino a morirne, per amore. A salvarci è soltanto il suo amore, capace di riscattarci anche dai mali più grandi, come la guerra, e dai limiti più insuperabili, come la morte. Egli viene a salvarci, ci ripete la liturgia. Nessuno è escluso da questa salvezza, a nessuno deve essere impedito di sperare nella salvezza.
Ma c’è un aspetto che mi pare proprio dell’Avvento e che colora in un certo modo la salvezza di Dio. Essa è novità . È lo spuntare di un germoglio dal tronco di Iesse, l’uscire inaspettato del popolo dalla terra d’esilio, il sorgere di un profeta di nome Giovanni, il sì di Maria, la nascita di Gesù. L’Avvento è l’irrompere della novità di Dio nella storia.
Quando la Palestina è dominata dal più potente degli imperi, quello romano, e sembra non esserci speranza per il popolo oppresso, ecco nascere un nuovo re, diverso da tutti gli altri, la cui forza sta nell’amore. «Un bambino è nato per noi», grida il profeta. Dio non ha abbandonato il suo popolo, Egli stesso viene a salvarci.
Nasce da una donna, per strada, durante un viaggio. Pochi se ne accorgono, i pastori, eppure egli è il Figlio di Dio. La novità di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, eppure è essa che dà speranza al mondo.
Avvento significa lasciare che Dio faccia nascere qualcosa di nuovo in noi, come un germoglio.
Don Matteo Lucietto, parroco dell’UP Breganze e teologo