«In questa terra oggi ci sono dei cristiani che sono come dei crocifissi. A noi è chiesto di stare sotto la croce. Per chi soffre avere qualcuno vicino fa la differenza. Ecco, noi siamo andati a Gerusalemme per questo». Con queste parole don Raimondo Sinibaldi, presidente della Fondazione Homo Viator, spiega il senso del viaggio in Terra Santa che dal 9 al 12 febbraio ha visto impegnata una delegazione vicentina, composta, oltre che da don Raimondo, da don Beppino Bonato, Giulia Agostini e Lauro Paoletto. I quattro vicentini sono stati accompagnati anche dall’augurio del Segretario di Stato il cardinale Pietro Parolin che in un messaggio alla delegazione ha sottolineato l’importanza “della solidarietà alla Chiesa Madre di Gerusalemme in questi tempi tanto travagliati”.
A pochi chilometri di Gerusalemme si sta consumando una guerra che sta creando orrore, morti e distruzione. L’impegno delle delegazione, invece, era quello di portare vicinanza, solidarietà, sostegno nella preghiera a comunità che soffrono in modo incredibile. “Speranza” è stata una delle parole che più è risuonata durante il pellegrinaggio delle delegazione vicentina. «È la cosa che manca di più oggi in Israele e Palestina – osserva Lauro Paoletto, componente della delegazione -. Il nostro autista arabo cristiano di fronte alla domanda se ha speranza per il futuro dei suoi figli, ci ha risposto: “Quale speranza può avere un ragazzo che ha visto uccidere sette suoi familiari e che ora è solo?”». Le suore dorotee del Centro Effetà hanno raccontato come le famiglie dei bambini e dei ragazzi che frequentano il loro centro negli ultimi mesi non siano stati in grado di pagare la retta (modesta) prevista. «Il nostro istituto – ha raccontato la superiora |suor Carmela Dal Barco| – è un segno anche di Chiesa, che accoglie chiunque e non chiude le porte a nessuno e non a caso moltissimi dei bambini e ragazzi che frequentano il nostro Centro sono mussulmani. In questo è anche un segno chiaro di dialogo».
Purtroppo, quello che manca tra le varie presenze che abitano la Terra Santa (ebrei, arabi mussulmani e arabi cristiani) è la fiducia reciproca. «La guerra abita il cuore di molte persone qui in questa terra e questo crea inevitabilmente diffidenza». A dirlo è fra Diego Dalla Gassa, 50 anni, francescano originario di Chiampo e responsabile del romitorio del Getsemani. Rispetto alle prospettive, come nota frà Diego, «si naviga a vista». Nessuno azzarda previsioni. La soluzione dei «due popoli, due stati» sembra oggi irrealizzabile, ma non appaiono all’orizzonte alternative credibili. Frà Diego invita alla preghiera e a pregare per i nemici. Come tanti degli altri testimoni che la delegazione ha incontrato, non nasconde la tristezza che abita il loro cuore davanti a tanta distruzione e a così tanti morti in così poco tempo.
«Percorrendo le strade di Betlemme – spiega Giulia Agostini -, incrociando più volte il muro di divisione e attraversando i checkpoint, si capisce che migliaia di persone sono rinchiuse in una prigione a cielo aperto. C’era desolazione nelle città, ma soprattuto c’era desolazione nei cuori. Ho chiesto a due giovani se sognano un futuro per i loro figli, con estrema sicurezza mi hanno risposto di no. Questa gente però ha anche una forza, nonostante vivano in un Paese in conflitto dal 1948, un attaccamento alla fede e alla vita grandissimi, che noi ci sogniamo».
Lo confermano, peraltro, le Missionarie comboniane mentre raccontano i loro progetti con i beduini del deserto (asili per i bambini, corsi di inglese e manualità per le donne, ndr) come un modo per credere, ancora, che un futuro diverso è possibile. «La vita dei palestinesi è difficilissima – raccontano – perché dipendiamo dagli umori locali e tutto questo crea grande incertezza nella realizzazione di qualsiasi progetto». In tutto questo, i più in difficoltà sono proprio i cristiani di Terra Santa. «Gli ebrei ce l’hanno con noi in modo particolare, soprattutto gli ebrei ortodossi – racconta un quarantenne arabo cristiano –. D’altra parte per gli arabi mussulmani non siamo abbastanza arabi, perché siamo cristiani».
«Stiamo assistendo a un calo progressivo della presenza cristiana in Terra Santa e a Gerusalemme, che è la nostra Chiesa madre – chiosa don Raimondo Sinibaldi -. Come ci ha raccontato il Custode di Terra Santa, molti cristiani se ne vanno per non tornare più. Ma come ci ha detto Patton restare in questa Terra è una vocazione». L’appello che arriva da Gerusalemme è di sostenere e non dimenticare queste comunità cristiane ridotte al lumicino e questo è stato uno degli obiettivi della delegazione berica. Si tratta di un sostegno che può avvenire in tanti modi, compreso quello del pellegrinaggio.
«La nostra venuta a Gerusalemme – commenta don Beppino Bonato – conferma che qui c’è un situazione di sicurezza. La tragedia che si vive a Gaza non raggiunge, almeno dal punto di vista militare, Gerusalemme e altre città. È quindi possibile venire in pellegrinaggio e sarebbe importante farlo proprio come segno di vicinanza e sostegno a queste comunità. Loro qui ci aspettano come fratelli e sorelle nella fede».