«Il disarmo è l’unica risposta adeguata e risolutiva se vogliamo costruire un futuro di pace». Non usa mezzi termini il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, intervenuto il 13 dicembre a palazzo Borromeo, Roma, in occasione dell’incontro “L’Europa e la guerra. Dallo spirito di Helsinki alle prospettive di pace” promosso dall’Ambasciata italiana presso la Santa Sede con i media vaticani e la rivista Limes. Il suo discorso ha spaziato dalle parole di papa Francesco all’Angelus dello scorso 2 ottobre all’Atto finale della conferenza del 1975 che prende il nome dalla capitale finlandese. Un contributo che va verso un’unica direzione: ribadire con forza e convinzione quanto l’esito della guerra in Ucraina sia una responsabilità collettiva. Papa Francesco il 2 ottobre affermava, in riferimento all’aggressione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa: «Si faccia ricorso a tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora eventualmente non utilizzati per far finire questa immane tragedia».
Il card. Parolin, a distanza di due mesi, nel suo intervento è tornato su queste parole, sottolineandone l’attualità. «Ancora assistiamo agli “errori” e agli “orrori” della guerra in Ucraina», ha affermato, proponendo una lettura più approfondita dell’invito del pontefice, non indirizzato solamente a Putin e Zelensky. «È rivolto a tutti i protagonisti della vita internazionale e ai responsabili politici delle Nazioni perché facciano tutto il possibile per porre fine alla guerra», ha aggiunto il segretario, ricordando subito come queste riflessioni siano ispirate dalla Conferenza di Helsinki, «un evento particolarmente significativo per la storia mondiale, per l’Europa e anche per la Santa Sede». A partire da questa esperienza del passato, che tentò di migliorare le relazioni internazionali, oggi è importante per il card. Pietro Parolin guardare al futuro rivivendo quello «spirito di Helsinki » , non sulla base di vecchi schemi, ma «adoperandoci con creatività». «Abbiamo bisogno di affrontare questa crisi, questa guerra e le tante guerre dimenticate, con strumenti nuovi», ha affermato, richiamando il bisogno «di immaginare e di costruire un nuovo concetto di pace e di solidarietà internazionale», e «di una de-escalationmilitare e verbale, per ritrovare il volto dell’altro,
perché ogni guerra, diceva il venerabile monsignor Tonino Bello, trova la sua “radice nella dissolvenza dei volti”». Se da una parte raramente pare aprirsi uno spiraglio di speranza, dall’altra si registrano «chiusure e l’acuirsi dei bombardamenti», ha fatto notare il cardinale, che ha aggiunto: «Terrorizza il fatto che si sia tornati a parlare di ordigni nucleari e di guerra atomica» , condannando senza giri di parole la corsa al riarmo, per la quale sono impiegati «ingenti investimenti di denaro che potrebbe essere impiegato per combattere la fame, creare lavoro, assicurare cure mediche adeguate a milioni di persone che non ne hanno mai avute».
Se la responsabilità di porre fine ai conflitti riguarda tutti, collettivamente siamo anche esposti ad un rischio concreto, quello dell’assuefazione.
«Finiamo quasi per non fare più caso alle notizie della pioggia di missili distruttivi (le armi intelligenti non esistono), dei tanti morti civili, dei bambini rimasti sotto le macerie, dei soldati uccisi, degli sfollati» , ha spiegato Parolin. Bisogna, quindi, combattere il pericolo dell’abitudine e dell’indifferenza. «Le lacrime del Papa in preghiera ai piedi dell’Immacolata in piazza di Spagna l’8 dicembre scorso sono un antidoto potente», ha ribadito, per subito aggiungere: «Desidero ripetere il suo appello affinché si faccia ricorso a tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora inutilizzati, per arrivare a un cessate il fuoco e a una pace giusta».