Uno. Un solo Centro in tutto il territorio vicentino che aiuta gli uomini violenti a capire, capirsi, maturare e cambiare. Si chiama Ares, si trova in via Monte Novegno, 7 a Bassano del Grappa. Nel 2020 ha preso in carico 45 maltrattanti dopo 50 colloqui di primo accesso, per un totale di 73 se si aggiungono quelli seguiti dall’anno precendente. La maggior parte ha tra i 31 e i 50 anni, sono italiani e hanno agito violenza fisica, psicologica o stalking contro partner conviventi o ex partner. 16 non ce l’hanno fatta a sostenere il ‘percorso di redenzione’ e hanno abbandonato.
Per il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, vi raccontiamo l’altra faccia della medaglia. Chi sono gli uomini autori di violenza domestica? Perché picchiano, offendono, istigano, criticano, controllano? E soprattutto, come si aiuta un maltrattante? C’è una reale possibilità di cambiamento?
Ne abbiamo parlato con Francesca Casalino, 28 anni, psicologa clinica e forense, responsabile dell’area prevenzione e sensibilizzazione di Ares.
«Il nostro team multidisciplinare di professionisti (psicologi, psicoterapeuti, ricercatori, operatori, volontari, tutti con formazione specifica) – spiega l’esperta -, lavora per gradi. La prima cosa da accertare è la reale motivazione del maltrattante che bussa alla nostra porta. Gli uomini autori di violenza arrivano da noi di propria volontà, ma anche mandati dai servizi sociali, dai diversi enti e servizi sul territorio, da avvocati e psicologi. La legge n.69 del 19 luglio 2019 “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” conosciuta anche come ‘codice rosso’, comma all’art. 165 c.p, ha subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena alla partecipazione a specifici percorsi di recupero in enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati. Ecco che il primo colloquio diventa quindi fondamentale per accertare che la richiesta di accesso al servizio non sia strumentale. Nel caso di scarsa motivazione ci rifiutiamo di prendercene carico».
I professionisti lavorano per colloqui, individuali o di gruppo una volta la settimana, in base alle diverse esigenze. Il percorso non dura mai meno di un anno. «Ogni uomo è diverso dall’altro – continua Casalino -. È difficile tracciare un identikit. Le storie, i contesti, i caratteri sono molti. La violenza è un fenomeno complesso che va analizzato sotto più punti di vista. C’è il contesto individuale, ma anche relazionale e culturale, ci sono modalità sbagliate di gestione della frustazione, del conflitto e dei rapporti personali. L’aver subito violenza da piccoli, o l’aver vissuto in ambienti violenti è un fattore di rischio, ma non è la regola. Se un uomo è violento non è detto che l’abbia subìta in famiglia» «Sicuramente – sottolinea l’esperta – si può parlare di spirale della violenza. Si parte da un insulto, per arrivare alle botte. Cresce e si aggrava. La violenza non è solo psicologica o fisica, ma anche – ad esempio – economica, spesso sottovalutata. Ci sono uomini che vogliono esercitare un controllo totale sulla propria partner fino a farle perdere il lavoro, toglierle il bancomat e la gestione delle spese».
Settimane fa ha fatto molto discutere l’intervento della giornalista Barabara Palombelli che si è chiesta se ‘ci possano essere comportamenti esasperanti, aggressivi anche dall’altra parte’, quindi dalle donne stesse. «Quello su cui puntiamo – continua la psicologa – è far capire all’autore che l’agito violento è una scelta ed è sempre sbagliata. Non c’è provocazione che tenga. Per risolvere il conflitto esistono tante modalità. Puntiamo sempre sulla piena consapevolezza».
Si tratta di un lavoro psico-educativo. «Un uomo è violento per vari fattori. Sicuramente c’è una componente culturale, sul quale negli ultimi anni si sono fatti importanti passi avanti, ma non è ancora abbastanza. Ci sono alcuni stereotipi nel contesto in cui viviamo, un certo modo di intendere la donna e il suo ruolo nella società. Vige il patriarcato. Ma sono importanti anche i fattori individuali: la singola persona come gestisce le relazioni intime, quelle amicali, come ha imparato a rispondere al conflitto».
Il metodo utilizzato dal Centro Ares si chiama ‘Babova’, dal nome dei tre fondatori (Umberto Battaglia, Mattia Bordignon e Brian Vanzo) e, come dicevamo, procede per step. «La prima fase è di esplorazione, aggancio e alleanza di lavoro – spiega Casalino -. Lavoriamo sulla consapevolezza di sé e dei rapporti con la partner o ex partner e sulla capacità di mettersi nei panni dell’altro. Nella seconda fase si passa alla consapevolezza dell’aver agito con violenza, di aver creato un danno. A questo proposito organizziamo dei corsi specifici per padri: far capire al maltrattante il disagio e la sofferenza che il loro comportamento ha generato nei figli è di grande aiuto nel percorso di crescita e cambiamento. La seconda fase lavora sull’assunzione della responsabilità e delle conseguenze delle proprie azioni, su ciò che li ha portati alla violenza che, a volte, è legata alla mal gestione di un abbandono. Nell’ultima fase si spinge sulla progettualità, sulla capacità di cambiare e ricostruire».
Con questo metodo l’80% degli uomini accompagnati non ha avuto recidive. Il problema è che un Centro – uno – in un territorio abitato da oltre 800mila persone (con tre femminicidi nel Vicentino tra aprile e settembre 2021) è troppo poco.
Aiutando gli uomini, si aiutano le donne. E le donne (piccole e grandi) si proteggono anche facendo prevenzione: «Vado nelle scuole a parlare con ragazzi e ragazze di medie e superiori e mi rendo conto che qualcosa è cambiato – conclude la psicologa -. Nelle nuove generazioni c’è più consapevolezza. Spiego loro che la gelosia e il possesso non sono parte di un legame amoroso. Capiscono, partecipano, fanno domande. Esco sempre sorridente da questi incontri. Mi fanno avere fiducia nel futuro».
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