Fare il bilancio di un anno è sempre complicato. Rischia di prevalere il soggettivo (ciò che più mi ha colpito, coinvolto, interessato). Rimane, peraltro, il dubbio che in un bilancio particolare come questo, l’oggettività non possa avere cittadinanza.
Ecco, allora, che è meglio cercare di affidarci a criteri magari non tanto scientifici, ma che forse possono aiutare a intuire una tendenza non solo personale. È un po’ come quando si va a una cena e alla fine si cerca di dare un giudizio. Quello che rimane è il retrogusto positivo o negativo, piacevole o fastidioso che qualche piatto, in particolare, ci ha lasciato.
Che retrogusto ci lascia, dunque, il 2017? Direi un qualcosa di non particolarmente piacevole, in cui è esaltato soprattutto il gusto divisivo, che si pone in contrasto con il resto.
Fuor di metafora ripensando ai dodici mesi trascorsi, che stiamo definitivamente affidando alla storia, c’è la sensazione che in tanti, troppi, si siano impegnati a perseguire i propri interessi singoli e particolari alimentando ciò che divide piuttosto che investire in ciò che unisce.
È una sensazione che si ricava sia che si guardi allo scenario locale o nazionale, piuttosto che a quello internazionale. Per qualcuno mostrare i muscoli, pensare che il mondo sia fatto per i furbetti (che si fanno ricchi con i soldi degli altri), dividere il mondo in “io e gli altri” o meglio ancora “noi e gli altri” è il modo per illudersi di poter vivere meglio … “E che gli altri si arrangino”.
In realtà, in un contesto così complesso come quello attuale, per interesse o per bontà d’animo ci dovremmo rendere conto che, oggi più che mai, o ci si salva tutti assieme o si affonda tutti assieme. Le problematiche globali che dimostrano questa prospettiva come ineluttabile sono molte. Pensiamo, per fare alcuni esempi, alla sicurezza, ai cambiamenti climatici, alla questione dei migranti, al governo del web, alla gestione dell’innovazione, al governo del sistema bancario.
Rispetto a quanto sta accadendo nessuno può chiamarsi fuori (anche se c’è chi ancora si illude di poterlo fare) né il singolo cittadino, né il presidente di uno dei Paesi più potenti al mondo. I nostri destini sono inesorabilmente intrecciati.
Tutta una serie di questioni sono di tale portata che possono essere affrontate solo insieme. Il futuro dell’Unione Europea sarà tanto più una opportunità tanto più gli Stati che ne fanno parte sapranno far prevalere lo spirito unitario rispetto al singolo interesse particolare. È vero: quando c’è un problema, ciascuno cerca di difendere prima di tutto sé stesso. Ma l’orizzonte globalizzato in cui viviamo ha cambiato strutturalmente le regole del gioco.
Anche nel nostro Paese, nell’anno in cui festeggiamo i 70 anni della Costituzione, sarebbe auspicabile ritrovassimo e tornassero al centro (dopo le elezioni) i pochi, essenziali e fondamentali elementi che ci uniscono come popolo e come nazione.
Qualcuno cerca di guadagnare qualche voto spingendo sul pedale della divisione, ma oggi più che mai dobbiamo riscoprire le ragioni del nostro stare insieme, rafforzare la consapevolezza che la casa comune e condivisa non è un dettaglio a cui si può rinunciare. È il prerequisito per una convivenza capace di costruire un vero futuro di crescita reale e generale.
I cattolici agli albori della Repubblica hanno dato, in questo senso, un contributo fondamentale. Oggi che si ritrovano legittimamente divisi sulle cose penultime, possono dare un apporto decisivo nel trovare ciò che è condiviso e dovrebbe rappresentare il patrimonio comune.
Papa Francesco sul versante ecclesiale sta offrendo di continuo esempi di come sia urgente rafforzare una stagione di ponti piuttosto che di muri. Pensiamo ai passi fatti sul versante del dialogo ecumenico e del dialogo interreligioso.
Se il 2018 ci vedrà impegnati come artigiani di ponti creando anche solo una occasione in più di incontro con l’altro rispetto al 2017, il retrogusto che ci resterà di questo nuovo anno sarà sicuramente qualcosa di positivo da custodire gelosamente.