Ogni mattina suor Angela Cimino, dorotea, posa lo sguardo sul mare di Lampedusa, sugli scogli, il cielo, le rocce e la vegetazione che la circondano. «Ogni giorno ringrazio Dio Creatore per averci fatto dono di una natura stupenda». Ma le condizioni meteorologiche che permettono alla religiosa di apprezzare il paesaggio che la circonda, sono le stesse che consentono a centinaia di migranti di staccarsi dai porti della Libia o della Tunisia e giungere a Lampedusa. Allora lo sguardo di suor Angela e quello delle sue compagne di missione, si posa sulle spiagge dell’isola e sui disperati che vi giungono, tratti in salvo da Guardia Costiera e Ong o naufragati. «La priorità è l’accoglienza dei fratelli migranti quando arrivano al molo. Veniamo informate mezz’ora o un’ora prima dal loro arrivo dalla Guardia Costiera e poi dal gruppo di giovani Volontari della Ong Mediterranean Hope. Giusto il tempo di indossare vestiti più semplici e funzionali al servizio e… via di corsa!».
Quando avviene uno sbarco, al porto l’attività di Guardia Costiera, Guardia di Finanza e Croce Rossa è febbrile. Suor Angela collabora proprio con la CRI: «È indescrivibile quello che vedo, tocco e sento – racconta -. Come afferma papa Francesco, “toccare la carne di Cristo†è l’esperienza fortissima che mi trovo a vivere ogni qualvolta mi reco al molo di accoglienza. Uomini, donne, bambini: tremanti, infreddoliti e bagnatissimi, sconvolti, con gli occhi che fissano il vuoto. Li tocco senza paura per aiutarli ad alleggerire il peso di una giacca inzuppata d’acqua, per pulire e rivestire bambini piccoli e scioccati. Li accarezzo tutti per dare la carezza di Dio Padre. In fretta, anche quando sono tantissimi, cerchiamo di offrire un tè caldo, una brioche e acqua. Facciamo indossare la cosiddetta “coperta termicaâ€, ma che non serve poi a nulla poiché sono bagnati all’inverosimile! La Croce Rossa li accompagna all’Hotspot dove ricevono cure, vestiti e cibo. Si fermano al Centro un paio di giorni e nuovamente inizia il loro esodo, verso dove? Non si sa».
Comunità internazionale a servizio dei migranti
Quattro religiose di quattro nazionalità diverse appartenenti a tre istituti religiosi. È una comunità unica nel suo genere quella in cui vive la dorotea suor Angela Cimino, a Lampedusa. «La nostra missione a Lampedusa – racconta suor Angela – è nata perché l’Unione Internazionale Superiori Generali (UISG) ha voluto dare risposta al fenomeno del flusso migratorio, con l’impegno primario di promuovere una solidarietà mondiale tra religiose appartenenti a Paesi e Congregazioni diverse. A tale scopo l’Uisg ha avviato un Progetto, ispirato alla visione conciliare del Vaticano II e ai numerosi e accorati appelli di Papa Francesco».
Dal 2015, la comunità intercongregazionale a Lampedusa si occupa di accogliere i migranti che raggiungono le coste europee con l’obiettivo di costruire ponti tra i migranti e la comunità locale. «Al momento – racconta suor Angela – la comunità è formata da quattro religiose provenienti dalla Croazia, dagli Stati Uniti, dall’India e dall’Italia e appartenenti a tre diversi Istituti Religiosi: Suore della Carità della Santa Croce, Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori, Religiose del Sacro Cuore di Maria.
La ripresa degli sbarchi
Nei giorni scorsi, il soccorso dei migranti al molo è tornato ad essere un’attività quotidiana. Tra il 4 e il 5 aprile, sono arrivate a Lampedusa 797 persone, per un totale di 20 sbarchi. Una motovedetta della Guardia Costiera ha soccorso in mare 45 migranti ad una trentina di miglia a Sud Ovest dell’Isola. Tra di loro, è stato trovato anche il corpo senza vita di una 18enne del Gambia, morta annegata.
Burkina Faso, Camerun, Guinea, Gambia, Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Ciad e Somalia sono alcuni dei Paesi da cui provengono i migranti sbarcati nei giorni scorsi sull’isola, di fatto un “collo di bottiglia†inevitabile per entrare in Europa, ben simboleggiato dalla “Porta di Lampedusa – Porta d’Europaâ€, il monumento alla memoria dei migranti morti in mare realizzato da Mimmo Palatino nel 2008. Qui hanno fatto una tappa anche i preti vicentini del sessennio, quelli cioè con meno di sei anni di ordinazione, che dal’1 al 5 aprile hanno visitato l’isola. Il più “vecchio†per anni di Messa è don Loris Faggioni, a cui seguono don Marco Battistella, don Matteo Nicoletti, don Mauro Cenzon, don Nicolò Rodighiero e don Emanuele Billo. Con loro a Lampedusa c’erano anche il Vescovo Giuliano e il responsabile del sessennio, don Andrea Peruffo.
La visita dei preti vicentini
«Il desiderio di noi preti giovani era di conoscere più da vicino la realtà di quest’isola e creare delle relazioni con le associazioni che seguono i migranti – racconta don Nicolò Rodighiero -. La facilità con cui noi abbiamo raggiunto l’isola in aereo contrasta con l’avventura drammatica e incerta che i migranti affrontano per raggiungere la nostra stessa meta».
Tutti gli abitanti dell’isola sono coinvolti dall’arrivo dei migranti, al punto che, racconta ancora don Nicolò, «per i lampedusani quella di salvare le vite di chi attraversa il mare e rischia di annegare è percepita come una priorità inderogabile». Su uno dei moli visitati dei preti, in quel momento deserto, erano ben visibili i segni del passaggio dei migranti. «Mentre osservavamo i relitti di alcuni barche, i vestiti impregnati d’acqua salata, le coperte termiche e un pupazzetto abbandonato tra le immondizie, riecheggiavano nella mente alcune parole consegnateci da una volontaria: “Se io non riconosco la dignità di un essere umano a perdere la dignità sono ioâ€Â», raccontano don Emanuele Billo e don Loris Faggioni. Un messaggio che aiutano ad imprimere nella memoria le croci che un falegname dell’isola, Franco Tuccio, realizza dal 2009. «Abbiamo visitato la sua bottega – raconta don Mauro Cenzon – che ha avuto notorietà mondiale con la visita di papa Francesco all’isola, nel luglio del 2013». Lo stesso anno del naufragio avvenuto l’11 ottobre, nel quale annegarono 359 persone.
“Una piccola mano di Dio”
Un dramma che non cessa di ripetersi, come ricorda suor Angela Cimino: «La prima esperienza forte che ho fatto dopo il mio arrivo sulla’isola, quasi 5 mesi fa, è stata quella di abbracciare una giovane mamma africana, che aveva perso tre suoi bambini. Una figlioletta senza vita la teneva ancora in braccio. Gridava dal dolore e in lingua francese ripeteva: “Ne mancano due e mio marito!â€. Il cuore e la mente fotografano queste scene e, ovviamente, fatichi ad addormentarti alla sera sotto le coperte. E così…tutto si ripete ogni volta. Il numero di persone che arrivano varia dai 50 ai 500. E sempre di sera. Vi assicuro che il Signore mi dà forza e coraggio. Nonostante tutto, sono serena e sono contenta, nel mio piccolo, di essere una piccola mano di Dio».
Andrea Frison