Torna Natale, la festa di Dio che esce da sé stesso per farsi piccolo ed entrare nella nostra storia, nella storia del mondo, così sofferta e al contempo meravigliosa, con le sue mille contraddizioni. Per celebrare il Natale e trovarne la gioia è necessario uscire, andare incontro a questo Dio Bambino e vincere la tentazione della paura e della pigrizia che ci portano a ripiegarci sempre di più su noi stessi, sulle nostre abitudini rassicuranti e sulle piccole comodità di cui ci siamo circondati. Credere in Dio, da questo punto di vista, credo sia un po’ come mettere al mondo un figlio. Significa lasciarsi sconvolgere la vita da un’altra vita, significa decentrarsi in favore di un altro. E questo è particolarmente evidente nel cristianesimo, dove Dio entra nella storia di ciascuno tendendo le braccia come un bimbo che chiede di essere preso in braccio. Un’immagine, quella di “un Dio piccolissimo da stringere tra le braccia e coprire di baci, un Dio tutto caldo che sorride e che respira, un Dio che si può toccare e che ride”, davanti alla quale anche Jean Paule Sartre, per un attimo, sembrò perdere le proprie ciniche certezze. Forse non è un caso allora che la nostra epoca sia sterile tanto di figli, quanto di fede. Per essere genitori ed essere credenti ci vuole una buona dose di incoscienza. È necessario un atto di fiducia, umile e infinito. Qualche giorno fa, un papà mi confidava la sua nostalgia di Dio, della messa domenicale, del sorriso che vedeva nascere sul volto di sua nonna ogni volta che riceveva la Comunione. Penso che questa nostalgia abiti in realtà il cuore di molti. Eppure pochi sembrano trovare la forza di uscire in cerca di stelle luminose; pochi sono disposti ad alzare il capo e mettersi in cammino. Abbiamo tristemente barattato i nostri sogni di gioia con un po’ di sicurezza e di benessere materiale.
Forse in questo Natale potrebbe allora essere utile guardare ai Magi, trarre ispirazione da loro e accorgerci di chi come loro anche oggi, nonostante tutto, continua a credere nei sogni e a mettersi in cammino. I Magi fecero un lungo viaggio, venendo da Oriente. Come non pensare ai migranti che si mettono in viaggio affrontando mille incognite e pericoli, spinti dalla legittima aspirazione di una vita migliore? I Magi provarono una grande gioia nel vedere prima la stella e poi il Bambino e sua Madre. La stessa gioia che vediamo nei bambini, nei ragazzi e in tanti giovani delle nostre comunità che sanno impegnarsi nel bene e sorridere alla vita. I Magi aprirono infine i loro scrigni, pieni di doni preziosi, oro, incenso e mirra, ricchezze, preghiere e sofferenze, accumulate lungo una vita intera. Invecchiare non comporta automaticamente il diventare saggi, ma in ogni nostra comunità ci sono anziani saggi, dagli scrigni colmi di fede e di umanità. E allora, perché sia Natale davvero, potremmo provare a metterci in ascolto di qualcuna di queste persone e lasciarci interpellare e contagiare dai loro sogni, dai loro ideali, dalla loro fiducia in Dio, nel futuro, nella vita. Sarebbe davvero bello se ciascuno, per fare Natale, provasse a condividere un po’ di tempo con i migranti, con i giovani, con gli anziani. Anzi, con un migrante, con un giovane, con un anziano…perché “tutti” rischia sempre di essere “nessuno”, mentre uno può sorprendentemente aprirci ad un tutti, plurale e fraterno, facendo cadere stereotipi e pregiudizi. Offriamo senza paura un po’ di amicizia e di simpatia, intrecciamo o ricuciamo qualche relazione, doniamo un saluto e un sorriso: piccoli fili preziosi per un tessuto comunitario che sarà in questo modo accogliente anche per quel Bambino che ancora nasce e tende le sue piccole braccia per salvare l’umanità. Ciascuno di noi. Buon Natale!
Alessio Graziani