La bandiera della pace sventola sbiadita sul terrazzo. Il sole e la pioggia dei lunghi mesi passati l’hanno scolorita rendendola oramai timida e pallida. Appesa come grido di dolore e di speranza per il popolo ucraino, vede ora il sorgere di un altro conflitto, in quella Terra Santa che pace proprio sembra non voler trovare.
Alla notizia di nuove bombe che cadono, di nuovi fronti che si aprono, di nuovi innocenti che muoiono, il cuore prova un senso di profonda desolazione. Davvero il mondo è un triste campo di battaglia. Teatro di quella “guerra mondiale a pezzi”, resa possibile dagli inimmaginabili sviluppi delle tecnologie più sofisticate messe al servizio non della promozione, ma del desiderio di sopraffazione e dunque della distruzione dell’umano. Una guerra mondiale che ha sempre più pezzi e che, senza osare dirlo ad alta voce, iniziamo a temere possano unirsi, fino a comporre un tragico puzzle.
Tutta la storia dell’umanità può essere purtroppo letta, fin da Caino e Abele, come una storia drammaticamente segnata dal desiderio di possesso e di dominio (quella concupiscenza che è eredità comune del peccato originale) e dalla violenza che immancabilmente ne scaturisce. Ma “a che cosa giova ad un uomo conquistare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Marco 8,36), mette in guardia Gesù, inascoltato da imperatori, dittatori, zar e sceicchi di ogni tempo. La Chiesa, nella sua saggezza, dichiara taluni suoi figli certamente beati nella gloria di Dio, ma mai ha affermato con eguale certezza la dannazione di altri esseri umani.
Eppure, davanti agli orrori delle guerre e alle responsabilità di chi le ha scatenate, vien da chiedersi se davvero l’Inferno possa essere vuoto, come auspicò qualche teologo in tempi di pace o di antropologie forse un tantino troppo ottimistiche. Certo ogni guerra e ogni terrorismo proliferano sul terreno della miseria e delle ingiustizie esacerbate e non vi sarà pace reale e duratura finché un nuovo ordine mondiale più giusto e solidale non verrà seriamente perseguito. Ma questo non toglie che ogni forma di aggressione di un popolo contro un altro popolo, resa magari ancor più odiosa da presunte e mistificanti motivazioni religiose, sia sempre un atto “terribile e spregevole”, come ha dichiarato il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin. E se i responsabili di tali atti dovranno un giorno rispondere a Dio delle sofferenze inflitte a migliaia di persone innocenti e indifese; di aver mandato giovani ignari a combattere e morire; di aver messo a repentaglio la vita dell’umanità e la salute del nostro pianeta; ci chiediamo, noi, intanto, che cosa possiamo fare?
Vorremmo essere tra coloro che scrivono una storia diversa, o almeno ci provano. Tra quel popolo delle Beatitudini che silenziosamente, praticando il perdono, la misericordia, la mitezza, si oppone al male e alla violenza e permette a questo vecchio mondo di andare avanti e non collassare su sé stesso. La pace è un dono di Dio, da far germogliare innanzitutto dentro di noi e attorno a noi: nelle nostre famiglie, con i colleghi di lavori, i compagni di scuola, i vicini di casa… Inutile affermare di desiderare la pace nel mondo, in Ucraina e in Terra Santa, se poi non parliamo al nostro fratello, sparliamo dei colleghi, togliamo il saluto e portiamo in tribunale chi ci vive accanto.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Dobbiamo iniziare convintamente a porre gesti di pace nelle nostre relazioni quotidiane, a disinnescare quella violenza latente che tante volte ci portiamo dentro; dobbiamo tornare a guardarci come fratelli e sorelle e non come potenziali nemici. Allora la bandiera della pace, appesa ai nostri terrazzi, ritroverà i suoi colori e alzerà al Cielo, efficacemente, ancora una volta, la sua ostinata preghiera.
Alessio Graziani
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