La quaresima si ripresenta ciclicamente ed è arrivata anche quest’anno. Probabilmente ci siamo quasi dimenticati della quarantena richiesta a chi è colpito dal Covid, anche se in realtà il virus circola ancora. Molti di noi l’hanno sperimentata, con il suo carico di apprensione e solitudine, e non tutti ne sono usciti indenni. Dicono che a livello giovanile le ripercussioni siano tutt’altro che leggere. Entriamo pertanto in un periodo di quaranta giorni, che simbolicamente rinvia ad un tempo di prova, con una domanda.
Messi alla prova
Occorre proprio una quaresima per metterci in quarantena, quando gli eventi si incaricano di gravare su persone e popoli in modo devastante? Terremoti e guerre, precarietà e povertà, allarme ambientale e violenze domestiche: non ne abbiamo a sufficienza? La complessità del mondo attuale e i risvolti drammatici di tanti avvenimenti sembrano dirci che non è necessario cospargerci di cenere ed entrare in penitenza, perché già siamo immersi nella fatica di vivere.
Questo è vero, tuttavia non è scontato che ne venga una capacità di interrogarci sulle scelte personali e collettive, sulle responsabilità da assumere, sulle tentazioni da rifuggire. Gesù di Nazaret fa la quarantena nel deserto, per maturare una svolta radicale nella sua esistenza: pianta famiglia, casa e lavoro, al punto che lo ritengono fuori di testa. E nel fare questo, deve affrontare le tentazioni che gli presentano la via facile del miracolismo, dell’esibizione, del possesso. E se la quaresima fosse occasione per trasformare eventi, che avvengono al di là di noi, in decisioni da prendere noi? Siamo solo vittime di ciò che capita o diventiamo complici con scelte non fatte, connivenze vantaggiose, menefreghismi irresponsabili?
Affamati di Parola
Le notizie del mondo ci pesano addosso, al punto che vorremmo fare quarantena di parole e immagini. Ma non ne possiamo fare a meno, sia perché non resistiamo, sia per rimanere aperti alle relazioni, nella comune umanità condivisa. A fare problema è piuttosto una sorta di galassia amplificata, in cui risuona tutto e il contrario di tutto, dove ogni cosa si equivale oppure quanto è marginale diviene centrale e di ciò che conta non si parla. Il digiuno, uscito dall’ambito religioso per approdare a pratiche salutiste, può ritrovare un suo senso rapportato alla colluvie di discorsi ridotti a chiacchiere nei social come nella quotidianità. La quarantena di silenzio, che Gesù vive nel deserto, apre alla possibilità di una parola più necessaria del pane. L’isolamento della pandemia ce lo aveva fatto capire, quando le parole erano non cose da dire, ma relazioni da tenere vive; ma non pare che ne abbiamo fatto tesoro, visto che siamo ben presto tornati a vomitarci addosso di tutto, a partire da una classe politica che ha sdoganato il peggio. E la quaresima è tempo prezioso per attingere alla parola di Dio, che bonifi ca e vivifica le nostre parole, trovando il modo di farlo singolarmente, in famiglia e nella comunità cristiana.
Custodi di speranza
La simbolicità del numero quaranta l’abbiamo in memoria: l’umanità alle prese con quaranta giorni del diluvio, il popolo per quarant’anni in marcia nel deserto, il profeta Elia e i quaranta giorni di cammino verso il monte di Dio. Un periodo non breve, che destabilizza, e tuttavia con un termine, anzi con un orizzonte di possibile speranza. Questi ultimi tempi hanno fatto sperimentare, anche al nostro Occidente, la fragile precarietà in cui siamo immersi tutte e tutti. Un virus microscopico ha bloccato l’economia e paralizzato la politica, una guerra alle porte di casa ha scosso la presuntuosa sicurezza di chi finora le guerre le esportava altrove, la crisi energetica e i prezzi alle stelle hanno riportato a tempi di austerità. Siamo stati riconsegnati all’impasto di morte e vita, che inevitabilmente segna l’esperienza delle nostre esistenze. Si vive, ma a rischio continuo di morte; e talvolta questo è percepito in modo così pesante, che si rinuncia in modi diversi allo stesso rischio di vivere. La quaresima è itinerario verso la pasqua, evento di morte e di vita, quindi ripresentazione annuale (ma anche di ogni domenica, pasqua settimanale) della dinamica esistenziale, di cui siamo appunto impastati. Ma l’orizzonte, che durante il cammino si dischiude, fa sperare in un’eccedenza di vita rispetto alla morte. Non siamo tolti dalle situazioni drammatiche, non ci è risparmiato di sperimentare morte, tuttavia l’annuncio di pasqua continua a risuonare: l’amore è più forte della morte. Se è così, vale la pena vivere, e anzi stupirci e ringraziare dei segni di vita, che nonostante tutto spuntano in una storia che non è solo morte. Fare quaresima allora non è, come interpretiamo solitamente l’espressione, mortificarci; semmai vivificarci, per essere custodi di speranza.
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