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«Ecco perché Putin teme un’Ucraina “occidentale”»

«Se il Paese si avvicinasse agli standard europei si avrebbero ripercussioni in Russia» afferma l'esperto Di Pasquale.
di Andrea Frison

«Putin è un abile tattico ma non un grande stratega. Ridefinisce i suoi obiettivi in base all’arrendevolezza del mondo occidentale, disunito e incapace di dare risposte concrete. Cosa vuole è difficile saperlo, ma quello russo è un regime “cleptocratico”: ha problemi gravissimi e l’idea che in Ucraina possa instaurarsi una dinamica democratica che vada verso standard occidentali può avere ripercussioni in Russia». A dirlo, nei giorni in cui sembra destinato a riaccendersi il conflitto nell’ex repubblica sovietica, è Massimiliano Di Pasquale, uno dei maggiori esperti italiani delle vicende ucraine e dei Paesi post sovietici. Ricercatore associato dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici ha pubblicato per Gaspari Editore “Abbecedario ucraino. Rivoluzione, cultura e indipendenza di un popolo” (2018) e “Abbecedario Ucraino II. Dal Medioevo alla tragedia di Chernobyl” (2021).

Di Pasquale, considera il conflitto inevitabile?

«A questo punto direi di sì. Il ritiro degli ambasciatori fotografa una situazione drammatica. E non dimentichiamo che l’invasione è già avvenuta nel 2014 e da allora sono morte 14mila persone. Perché Putin non dovrebbe ripetersi? Il problema è capire in quale misura lo farà e quale sarà l’obiettivo».

Si arriverà a una spartizione del territorio ucraino?

«Credo di no. L’Ucraina ha scelto una sua indipendenza, voluta nel corso dei secoli. Il primo stato unitario si forma nel 1919, nel 1991 si ha la dichiarazione d’indipendenza che fa seguito ad un referendum popolare, in cui i favorevoli all’uscita dall’Urss sono stati la maggioranza in tutte le regioni del Paese. Sostenere che l’Ucraina sia divisa al suo interno è un errore storico, frutto della propaganda russa che in Italia ha avuto grande presa».

Non esiste nel Paese una dialettica tra filo russi e filo occidentali?

«È una narrazione riduttiva. Semmai si può parlare di città contro campagna, perché i sovietici hanno applicato processi di russificazione e industrializzazione forzate nelle città dell’est. Ma nelle campagne si è continuato a parlare ucraino. Inoltre, l’invasione del 2014 ha cementato il senso di unità nazionale».

Vale anche per la Crimea?

«La Crimea è stata trasformata in un polo militare. Era un fulcro turistico che gli ucraini, anche in epoca sovietica, hanno contribuito a far risorgere. Non è stata ”regalata”all’Ucraina, come si sente dire, l’acquisizione è stata il frutto di uno scambio di territori. Era un centro turisticogettonato, ci sono stato diverse volte. Ora è una base militare, la maggior parte della popolazione
è fuggita a Kiev o Leopoli e quella rimasta protesta per le promesse mancate di Putin, anche se il regime censura tutto. Le minoranze subiscono violenze. E il turismo è morto».

Lo storico Timothy Snyder definisce l’est Europa e l’Ucraina “terre di sangue” che hanno subito le politiche e le violenze di Hitler e Stalin. Ha un peso la memoria di quegli eventi nell’Ucraina di oggi?

«Soprattutto la memoria dell’Holodomor, il genocidio dei contadini ucraini attuato da Stalin è molto forte. L’ex presidente Viktor Juščenko ha avuto un ruolo molto importante nel ricucire le ferite di quel periodo storico. La memoria di quei fatti è un ulteriore fattore unificante».

Una nuova escalation del conflitto cosa provocherà?

«Rischia di spaccare l’Ue. Paesi baltici e Polonia forniranno assistenza a Stati Uniti e Canada. Francia e Italia non lo faranno. La Germania fa la voce grossa ma è interessata al gas russo. E c’è un altro attore in gioco…».

E quale sarebbe?

«La Turchia. Nel contesto del Mar Nero è una potenza regionale. Dirà la sua».