Il mondo è un immenso campo di battaglia. Secondo Oxfam i Paesi in cui manca la pace sono attualmente 72 (dunque quasi un terzo del totale degli stati che compongono il nostro pianeta) e le persone che hanno bisogno di aiuti umanitari perché coinvolte in guerre, conflitti civili e atti terroristici sarebbero, in questi primi mesi del 2024, almeno 300 milioni, tra cui moltissimi bambini. A soffrire di più in caso di guerra sono sempre i civili, in particolare la povera gente, quella con poche risorse economiche, poca istruzione, scarse possibilità di migrare per cercare salvezza. Tra le vittime della guerra, a prescindere dalla divisa che vestono o dalla bandiera che servono, non esiterei a inserire anche i soldati semplici, le truppe arruolate per forza o per fame, e mandate a morire al fronte, il più delle volte senza grandi entusiasmi o reali adesioni idealogiche. Dietro ad ognuno di questi giovani uomini (e oggi anche giovani donne) ci sono genitori, mogli e figli che vivono angosciati o dilaniati dal lutto. Intere generazioni che rischiano di essere perdute o comunque profondamente segnate, nel fisico e nell’animo, dagli orrori di guerre che altri hanno deciso. Dati non ufficiali stimano, dall’inizio del conflitto ucraino, 100mila soldati morti e 500mila feriti, per due terzi russi.
Davanti a tale desolante situazione, pensando in modo particolare proprio all’Ucraina, ma avendo nel cuore anche la Terra Santa, dove la volontà di estirpare Hamas si sta trasformando di fatto in un’operazione di annientamento dell’intero popolo palestinese, papa Francesco, con una lucidità che la maggior parte dei leader mondiali (Macron in testa) sembra aver irresponsabilmente perduto, ha recentemente invitato i capi delle nazioni e dei gruppi coinvolti a scegliere la via dei negoziati per ristabilire la pace, piuttosto che quella della “vittoria finale” ad ogni costo, con i suoi inaccettabili costi in termine di vite umane. «È più forte – ha detto il Papa – chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando vedi che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo (…) non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore». E tra le “cose peggiori” non ci nascondiamo il pericolo di un’escalation, con l’apertura di nuovi fronti di guerra e il possibile nefasto ricorso alle armi atomiche.
Non sono piaciute a molti queste parole del Papa. Ma vanno lette come le parole di un padre che non vuole più veder soffrire e morire i propri figli. Negoziare, mettendo da parte le questioni di principio, per un bene più grande. Per tutelare le fasce più deboli della popolazione. Perché ci sia un futuro, per tutti. L’invito del Papa mi ha fatto venire in mente quanto mi diceva un papà nei giorni scorsi. Mi raccontava degli inevitabili diverbi in famiglia e del suo proposito di tacere, di mandare giù…”per buona pace”, diceva. E non si trattava di un indolente “quieto vivere” … quanto piuttosto di preservare un valore più grande, l’armonia in casa, nonostante le vedute diverse o le tensioni che vi possono essere. In ogni famiglia ci sono situazioni simili, sofferenze e preoccupazioni, ma ci sono anche silenziosi costruttori di pace che non si stancano di “negoziare” ogni giorno la pace, una pace fragile se volete, forse non la migliore del mondo, ma probabilmente l’unica realmente possibile su questa terra. Iniziamo la Settimana Santa. Contemplando Gesù nel suo calvario, pensiamo a questa umanità sofferente e ferita dalla guerra e dall’insipienza umana. Come diceva Pascal, “Gesù resta in agonia sino alla fine del mondo”.
Alessio Graziani