L’ultimo pellegrinaggio da Vescovo a Monte Berico. L’ultima messa dell’8 settembre. Mons. Pizziol non ne parla perché da Roma non è ancora arrivato il nome del suo successore, ma se è in dubbio che presiederà la messa di Natale come Pastore di Vicenza, è certo che questa sarà la sua “ultima” festa della Madonna di Monte Berico, come saranno le ultime linee pastorali che dalla scalinata del Santuario affiderà alla diocesi. Il Papa sta lavorando su una terna di nomi, è questione di mesi.
Eccellenza dopo due anni di pausa il pellegrinaggio del 7 settembre torna in presenza. Che significato ha per la nostra Diocesi?
«Più che di una ripartenza, si tratta di un nuovo inizio. Ogni nostra giornata è un nuovo inizio ed è così anche per il nuovo anno pastorale. Rispetto al 2020 il Covid fa meno paura. Eravamo spaventati, oggi con i vaccini ci sentiamo più sicuri. L’ho avuto anch’io a metà agosto per fortuna con sintomi lievi. Ho pregato, studiato e lavorato. Sono tornate le relazioni, gli incontri, la vita sociale. Le comunità cristiane hanno re-iniziato la loro vita. Tuttavia la partecipazione alle celebrazioni soffre un po’, anche se, a mio avviso, è cambiato il modo di partecipare ai sacramenti, che mi sembra più convinto e più responsabile. Purtroppo regna l’incertezza: la guerra, la crisi politica e il rincaro delle bollette».
Personalmente come si sta preparando all’ultimo 8 settembre da Vescovo?
«Sono sereno. Ho chiesto di avere un successore entro quest’anno civile, se non sarà così pazienza, c’è sempre l’obbedienza. Vado avanti con il mio lavoro. L’obiettivo è che il nuovo Vescovo trovi meno problemi possibili da risolvere. Fino ad ora non ho fatto alcun riferimento pubblico alla mia partenza. Sarà così fino a quando non avremo il nome del nuovo vescovo di Vicenza».
Il Messaggio pastorale alla Diocesi “Può l’occhio dire alla mano: non ho bisogno di te?” (1 Cor 12,21) che presenterà il 7 settembre dedica, naturalmente, molto spazio al Cammino Sinodale. Assieme ai suoi collaboratori ha deciso di dedicare il quarto cantiere (i primi tre sono indicati a livello di Chiesa italiana) ai Ministeri che papa Francesco sta valorizzando sempre di più. Perché questa scelta? Che conseguenze concrete dovrebbero esserci sulle nostre comunità locali?
«Il secondo anno del cammino sinodale sarà sul solco del primo. Sono molto contento perché all’interno delle parrocchie abbiamo creato dei gruppi sinodali variegati che hanno lavorato bene (in tutta Italia sono stati 50mila, dati Cei ndr). Le 10 pagine di sintesi generale che abbiamo inviato a Roma sono un buon lavoro. Il secondo anno del cammino sinodale ci chiede di continuare ad ascoltare aprendoci all’esterno (cantiere dei villaggi), di entrare nelle case e nelle famiglie (cantiere della case), di seguire l’esempio di Marta, Maria e Lazzaro (cantiere delle diaconie) senza mettere in contrasto i tre modi diversi di servire Gesù, ricordando che la prima accoglienza è sempre quella di Maria, cioè spiritualità e ascolto.
La nostra diocesi ha scelto il cantiere della ministerialità. È il Papa a tracciare la via dando sempre più importanza ai laici, aprendo l’accolitato e il lettorato alle donne. Tutti i battezzati hanno il compito di contribuire attivamente e corresponsabilmente alla propria comunità.
Papa Francesco ci chiede qual è l’esperienza dei ministeri istituiti, di fatto e straordinari nelle varie diocesi. Raccoglieremo e invieremo a Roma quello che abbiamo fatto. Da noi un’importante realtà sono i gruppi ministeriali. Non uno, ma due-tre laici che lavorano insieme. “Minister” significa servo, come dice Gesù: “Sono venuto per servire non per essere servito”. Sicuramente si sta nella comunità non per acquisire piccoli spazi “di potere”. Le Unità pastorali vanno in questa direzione. Sono arrivato che c’erano 128 parrocchie singole, oggi sono solo 10».
Sappiamo che alcuni preti faticano ad accettare questo cambiamento anche perché comporta una modifica del loro ruolo. Come possono essere accompagnati a cambiare idea?
«Come in tutte le Diocesi, anche nella nostra ci sono alcuni preti che non camminano in modo sinodale, né con il presbiterio e neppure con i battezzati laici. Le Unità Pastorali comportano un cambiamento di mentalità, una “conversione pastorale” da parte sia dei preti che dei laici. Nei gruppi sinodali alcuni hanno definito le Unità Pastorali come un “laboratorio di sinodalità”. Ci vuole molta pazienza e determinazione nell’aiutare tutti a capire che solo camminando insieme si può testimoniare una chiesa, come popolo di Dio in cammino».
Ai laici che vivono questa “difficoltà” che cosa si sente di dire?
«Anche alcuni laici sono legati ad un modello tradizionale di Chiesa: mi scrivono chiedendomi perché non c’è la messa tutti i giorni feriali nella loro chiesa, come si è sempre fatto, perché la nipotina fa catechismo solo una volta ogni 15 giorni. Io li comprendo e provo tenerezza. Devono però rendersi conto del cambiamento della situazione. Sono arrivato che c’erano 520 sacerdoti, oggi sono 388 e la metà ha più di 75 anni.
C’è ancora l’idea di Chiesa incentrata sul prete che è responsabile di tutto, e i laici sono quelli che gli “danno una mano”. Non è più così. Anche i laici devono convertirsi al cambiamento e capire che sono corresponsabili in quanto battezzati della vita e della missione della loro comunità».
Di che tipo di Pastore ha bisogno la diocesi di Vicenza?
«Non spetta a me delineare la fisionomia del nuovo Pastore. Tutti i vescovi, ciascuno con le proprie caratteristiche personali, sanno quali sono i compiti del loro ministero episcopale, basta riflettere sui numeri 18-28 della “Lumen Gentium”. Prima di concludere il mio mandato di Vescovo mi piacerebbe incontrare le comunità cristiane nelle dieci zone in cui è suddivisa la nostra Diocesi, per presentare la proposta del nuovo Anno Pastorale 2022-2023 e anche per salutare tutte le persone con cui abbiamo lavorato, pregato, condiviso gioie e dolori in questi 11 anni di ministero episcopale».
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