«Gli anziani per la Chiesa rappresentano innanzitutto la memoria generazionale. Sono quelli che avendo vissuto molti anni, sono chiamati a custodire il tesoro della memoria. Sono i depositari della saggezza della vita. Sono chiamati alla trasmissione delle cose belle: della fiducia in Dio, della fede. Il nostro è il tempo della consegna. Stiamo per chiudere la nostra vita e abbiamo questo compito di affidare “il meglio” a chi viene dopo di noi». Ecco come vede i propri coetanei il vescovo Beniamino che abbiamo incontrato alla vigilia della Festa Adultissimi di Azione cattolica che si tiene domenica 8 maggio, con inizio alle 14.30, al Teatro Comunale di Vicenza e che mons. Pizziol chiuderà con un suo intervento. Con questo appuntamento l’Ac vuole rendere omaggio ai propri “adultissimi” (nella foto grande un gruppo di adultissimi a un camposcuola estivo ndr), le donne e gli uomini anziani che con passione e generosità hanno servito la chiesa e il Paese attraverso l’Ac e che ancora, in tanti casi, sono un riferimento per l’associazione e per la comunità diocesana.
Il vescovo Beniamino, nel raccontarci come lui vede la terza età, parte dall’osservazione che la vita si sta allungando e i centenari non sono più una eccezione. Va dunque rivista anche la divisione classica delle fasi della vita. Mons. Pizziol al riguardo propone quattro stagioni. «La prima va da 0 a 25 anni: è l’età della formazione e riguarda la nascita, la crescita, l’inizio di un lavoro. Dai 26 ai 50, la stagione giovanile e creativa della vita. Questa si snoda attorno agli affetti, al lavoro, al tempo libero. Dai 51 ai 75 anni, la stagione della maturità. C’è il passaggio, solitamente a una nuova generazione, quella dei figli e dei nipoti. È l’età in cui si va in pensione. Anch’io – osserva – sto arrivando al limite di questa stagione. Poi c’è l’età che chiamo del compimento, dai 76 ai 100. Ci si prepara alla fine, si fanno bilanci. È l’età della saggezza».
Eccellenza, che consigli si sente di dare a una persona anziana per vivere bene la propria vecchiaia?
«Ci sono innanzitutto dei consigli dal punto di vista fisico: finché è possibile è bene restare in movimento ed essere sobri nel cibo e nelle bevande. Dal punto di vista spirituale è importante gustare le bellezze della natura, dell’arte, leggere i migliori libri della letteratura e poi ascoltare, incoraggiare e sostenere i giovani. Dobbiamo evitare di essere degli anziani brontoloni».
Qual è il patrimonio che le persone anziane possono mettere a disposizione con riferimento all’esperienza di fede?
«Trovo che il valore più importante sia quello del tempo, non inteso come un contenitore da riempire. Il tempo va pensato come un cammino lento e graduale verso la meta insieme alle persone che il Signore mette sulla mia strada.
Il tempo va vissuto come kairos (una occasione opportuna) e non come kronos (la successione delle notizie della cronaca). Il patrimonio che si può trasmettere è questo modo sapienziale di vivere il tempo».
Oggi per gli anziani è molto più difficile di una volta garantire la trasmissione della fede di generazione in generazione. Cosa possono fare a riguardo?
«Bisogna essere consapevoli che la trasmissione non avviene primariamente attraverso le parole, ma attraverso la testimonianza. Per questa ragione è importante un distacco sapiente dalle cose del mondo, dai rancori, dal potere e dal dominio. Poi è necessario avere una spiritualità incarnata che significa avere come riferimento Cristo vero Dio e vero uomo. Quindi una spiritualità che medita le Scritture, che prega personalmente e a livello comunitario, che si nutre dei sacramenti, evitando fondamentalismi e catastrofismi. Poi credo sia importante mantenere una “vis comica”, un forte senso dell’ironia e dell’autoironia (mons. Pizziol rivela di avere sul comodino, accanto agli altri libri, anche un volume di barzellette, ndr). Ancora più importante è saper assaporare la gioia della vita».
Nella nostra diocesi ci sono numerosi preti anziani, molti ancora in buona salute. In che senso rappresentano ancora una risorsa per la nostra Chiesa? Qual è l’atteggiamento per vivere serenamente la propria vecchiaia da presbitero?
«Sono una risorsa se hanno acquisito la saggezza biblica: cercano di dare il meglio di sé come uomini e come preti, si rendono disponibili alle celebrazioni e al servizio, senza nostalgie del passato, pregano per i preti più giovani, sono disponibili all’ascolto, sanno essere magnanimi verso i confratelli».
Gli anziani di Azione cattolica cosa rappresentano per la Chiesa e per l’associazione? Che messaggio si sente di inviare loro in vista anche della festa dell’8 maggio?
«Come dicevo prima sono chiamati a una maggiore responsabilità verso i più giovani: devono mostrare la bellezza e il valore del camminare insieme. La dimensione associativa li ha aiutati a crescere e ha favorito la formazione condivisa con tanti fratelli e sorelle e il servizio comune alla Chiesa e al mondo. Il sentirsi parte dell’associazione è costitutivo della loro esperienza di vita cristiana. Sono chiamati a essere testimoni gioiosi e credibili del Vangelo e, al venir meno delle forze fisiche, devono far corrispondere la crescita delle risorse spirituali, morali, intellettuali e relazionali».
Lei come sta vivendo la Quarta età?
«Con grande serenità e con profondo senso di gioia interiore. Spero che il Signore mi doni la grazia di concludere il mio servizio episcopale nella nostra diocesi di Vicenza. Sto preparando uno scatolone di libri che non sono riuscito a leggere in questi ultimi 11 anni e che riguardano la figura di Gesù. Sogno un tempo più libero, più gratuito, più sereno. Sogno di essere di aiuto ai fedeli e ai preti di una Unità pastorale della nostra Diocesi. Sogno di prepararmi bene all’incontro con il Signore della vita».
C’è una figura di anziano che è stata particolarmente importante nella sua vita da giovane prete?
«Dal punto di vista ecclesiale e ministeriale, il cardinale Marco Cè. Era 22 anni più vecchio di me. Ha testimoniato una fede profonda, un amore immenso per la Chiesa, un accompagnamento paterno dei sacerdoti e dei fedeli. Dal punto di vista umano, mia mamma Olinda, che è vissuta fino alla soglia dei 99 anni. È stata una donna severa, lavoratrice instancabile, dalla pietà essenziale ma convinta, resiliente di fronte a ogni fatica e avversità. Ha saputo darmi forza e sostegno in tutte le fasi della mia vita».
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