Ho avuto la grazia di incontrare personalmente più volte madre Teresa, dapprima a San Gregorio al Celio a Roma, dove le suore della carità hanno la casa di formazione per l’Europa, e successivamente in India dove madreTeresa è diventata sorella e madre dei poveri dei più poveri.
Madre Teresa è senza dubbio una di quelle persone che non si possono dimenticare e che hanno marcato un periodo della storia umana. Il suo carisma va capito proprio in quella terra d’India, dove il modo di affrontare il dolore, la malattia e la morte è segnato dalla dottrina del karma (la legge della retribuzione del bene e del male) e la vita sociale è marcatamente influenzata dal sistema castale, che pesa negativamente soprattutto sui più poveri, non necessariamente solo fuori casta, ma in ogni caso i più poveri.
L’avventura di Madre Teresa non poteva che nascere in questa terra; il suo carisma non sarebbe stato capito in America Latina, dove si parlava di teologia della liberazione e non di “assistenza” a quei moribondi, che altrimenti non avrebbero mai conosciuto neanche un sorriso né una cura, e sarebbero morti soli quasi come dei cani di strada. E invece morivano con dignità e con affetto.
La parabola del buon samaritano aveva insegnato a Madre Teresa di fermarsi davanti alla sofferenza con amore concreto.
Madre Teresa non è però solo questo: la sua vita fu anzitutto un omaggio a Dio e al suo primato, fu vicinanza a tutti coloro che vivevano la tribolazione, dai bimbi abbandonati (Shishubhava – è il nome delle case per l’assistenza ai bimbi abbandonati) ai moribondi lasciati a se stessi (Home for destitutes) e al loro destino (karma).
La prima volta che la incontrai fu a Roma, a san Gregorio al Celio. Le comunicai il mio desiderio di andare in India. Lei mi disse: «Ricordati che in India non abbiamo bisogno di social workers (assistenti sociali); ne abbiamo molti. Abbiamo bisogno di uomini di Dio che dicano alla gente che Dio è amore e vuol loro bene. E voi preti ricordatevi di essere uomini di Dio».
In un incontro successivo, quando le dissi dello stile rispettoso e dialogico con cui volevo accostare il mondo indiano, lei mi disse: «Sì, tutte cose belle, ma ricordati che Gesù deve essere annunciato». «Io rispetto e onoro tutte le religioni, ma sono innamorata di Gesù».
La reincontrai una seconda volta, sempre a Roma. Ricordo alcune sue frasi durante una conferenza che tenne nella chiesa di San Gregorio, e della quale non posso dimenticare la forte insistenza sull’amore, sulla carità. L’amore che nasce dal cuore umano e che segna l’apice dell’azione umana.
Madre Teresa insisteva sull’amore concreto, sull’amore che comincia a casa e si fa premura di chi ne ha più bisogno, i malati, i poveri, i sofferenti, i lontani da Dio.
Un binomio che questa donna minuta ha sempre difeso, come inseparabile, è la preghiera e l’amore: l’uno alimenta l’altro, uno non può stare senza l’altro, proprio perché l’amore nasce da Dio, che è Amore. La carità è l’unica realtà che unifica e purifica profondamente il cuore umano. C’è una sua una frase che fa pensare: “Purifica più la carità che non le fiamme del purgatorio”; quasi a fare eco al versetto petrino: “La carità copre una moltitudine di peccati”.
Ritrovai Madre Teresa in India. Ricordo ancora lo stuolo di novizie che stipavano la cappella, dove viveva e guidava la casa di formazione a Calcutta. Dopo messa, costumava fermarsi qualche minuto con chi era venuto per incontrarla. Riporto alcune frasi detteci in un paio di circostanze: «Fate del bene agli altri, perché fare del bene agli altri e pensare agli altri ti fa dimenticare i tuoi mali, le tue sofferenze e i tuoi problemi«. «Il primo gradino della santità è la gentilezza». «Siate degni di quelle poche gocce di acqua che voi preti mettete nel calice. Siate anche voi, come queste gocce, uniti a Cristo, offrendo voi stessi a Lui per il bene di tutti. La tua vita quando la immergi in Gesù, acquista tanto sapore. Il bene che fai può essere poca cosa, può essere una goccia, ma anche l’oceano è fatto di gocce; e questa goccia di bene che fai può cambiare il mondo».
A Benares, la città santa dell’induismo dove vivevamo, c’erano due comunità di Madre Teresa: una per i bimbi abbandonati e una per gli ammalati cronici e i moribondi. Un giorno, mi disse: «Vi ringrazio per la Messa che voi dite alle mie suore. Vi raccomando di aiutare le mie suore a capire che nei poveri, nei malati, debbono vedere Gesù e servire Lui. Altrimenti non riusciranno mai ad amare i poveri e i sofferenti come dovrebbero e come Gesù desidera. Aiutatele ad amare Gesù e a vederlo nei poveri che servono». Lei stessa mi aveva confidato che la sua vita era stata guidata da una sola frase del Vangelo: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere; ero malato e mi avete visitato e curato”.
Un’ultima volta che incontrai madre Teresa, fu, ancora a Calcutta, con un gruppo di giovani occidentali che la volevano vedere. Dopo Messa ci aspettò e ai giovani disse tra le altre cose: «Quando dite l’Ave Maria e state vivendo un momento difficile… ponete attenzione alle parole finali: prega per noi peccatori adesso… adesso… (now … now) e nell’ora della nostra morte Amen».
La cosa che attirava, era il suo sguardo vivo e forte, le sue mani e il suo volto rugoso ma dolce, le sue parole sagge e profonde, semplici e concrete, quasi sempre orientate dall’amore. L’amore è un linguaggio che tutti comprendono. L’amore non ha nazionalità né conosce la divisione delle lingue. È la via maestra. Ricordo l’emozione che ho provato nel vedere i suoi funerali: quanta gente, di ogni ceto sociale, da re e governatori, fino alla gente più umile e diseredata. Tutti accorsi a rendere omaggio alla piccola grande Teresa di Calcutta.
Potremmo sintetizzare il tutto, attorno alla virtù che lei più ha praticato: la carità, l’amore: Amore incomparabile a Gesù; Amore preferenziale per i poveri; Amore fedele alla Chiesa (in particolare al Papa e al suo Vescovo di Calcutta); Amore confidente e filiale a Maria; Amore riconoscente all’eucaristia (le sue lunghe ore di adorazione davanti all’eucaristia e al Crocefisso appeso in tutte le sue cappelle con la scritta “I Thirst”-, ho sete); Amore servizievole e gentile verso tutti, specie i più poveri e diseredati (“Nelle cinque dita della mano hai tutto il programma della vita… nelle tue dita hai tutto il Vangelo: “You have done unto me” – “Tu l’hai fatto a me”, quello che hai fatto al più piccolo dei miei fratelli…).
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